mercoledì 10 settembre 2014

Tutto torna.

Si ritrovò per caso a fare un gesto che le era solito molti anni fa, tanti, forse anche più di una vita.
Prese la penna e, con un tratto rapido, scrisse sulla sua mano l'informazione che non voleva dimenticare.
Lo faceva spesso, prima, in quell'altra vita. In quella vita là, quella di prima. le parole erano spesso un lungo susseguirsi di suoni di cui comprendeva poco o niente.
Chiedeva, interrompendo le amabili conversazioni , il significato di quelle che riusciva a ricordare e di cui riusciva, con tentavi goffi e per gli altri, divertenti, a riprodurre il suono.
Ben presto capì, dalle occhiate dei parlanti, che non era bello frenare così il flusso della conversazione, che nn stava bene.
Fu allora che prese quell'abitudine, vista come deprecabile, ma che le consentiva con calma di cercare, tra i fogli di un dizionario antico ed ingiallito, mezzo spaginato, l'essenza di quei suoni, di svelarne il misterioso significato.
Sul monte di venere scirveva con gesti veloci e furtivi la parola eppoi, come se niente fosse, faceva scivolare la penna nella tasca. Riprendeva a seguire lo scambio di battute e di tanto in tanto rigirava il polso a controllare che quel prezioso tratto di penna non fosse cancellato dal sudore della sua mano chiusa a pugno, che il sudore nn lavasse via quel segno che altrimenti sarebbe rimasto così sconosciuto; con il tempo aveva insegnato alla sua mano di fare finta di essere chiusa, che le dita ripiegate su sè stesse dessero solo l'impressione di essere sigillate.
Solo quando capiva che ormai il discorso, gli scambi di opinioni si stavano esaurendo, chiedeva permesso ed andava a cercare, dando sfogo alla frenesia che era riuscita a tenere incatenata fino ad allora e che ora erompeva con tutta la sua forza, di dare un senso a quel suono; impresa che poteva sembrava facile ma che era forse la parte più difficile, giacchè quello che aveva scritto non aveva corrispondenza alcuna con quello che cercava.
Certo a leggerla ad alta voce, la parola era la stessa, ma scritta in quel modo era tutto un altro conto. Sillabava piano a fior di labbra e tentava, ora che aveva più tempo, di mettere tutte le lettere e le vocali al posto giusto.
Quella maledetta vocale , la faceva sempre dannare e così ripassava a memoria la filastrocca che aveva inventato per chiarirsi le idee: se pure sono scritte uguali, non hanno la stessa voce, se pure la scrivi I, I non è ma E .
Piano piano le scritte sulla mano dìvennero sempre più rade fino a scomparire del tutto, fin all'altro giorno quando alla radio sentì una parola in quella lingua che appartenva alla vita di prima, una parola che non conosceva e si ritrovò con la penna in mano a scrivere furtivamente sul monte di venere quel suono e a tenere la mano fintamene chiusa, diffidando della sua memoria e con la speranza che il sudore non lavasse via quel tratto di penna.
Si guardò la mano con tenerezza e con un pizzico di rabbia. Perchè in fondo tutto torna da dove è cominciato.


lunedì 3 febbraio 2014

Qualche altra "cusarella"....

"Natale è pace, è amore, è armonia." 
Questo è il messaggio che ci arrivava da tutte le parti. " A Natale bisogna sforzarsi ad essere più buoni, più caritatevoli".. altro refrain che risuonava nelle nostre orecchie. 
La realtà era però in netto contrasto, come spesso succede, con le parole. 
Il Natale cominciava assaje prima che fosse Natale e, mano a mano che la data fatidica, quella in cui doveva nascere Gesù bambino che avrebbe avuto la potenza di renderci tutti almeno un pizzichini più buoni si avvicinava, l'aria si faceva sempre più elettrica. " Piglia nu' fogl' 'e carte e scriv'..." . 
Il tuo piede, già mezzo fuori dalla porta ,rimaneva bloccato a mezz'aria, poichè speravi che quell'annuncio, per altro senza nome , non fosse per te. "Uè,... allora?" No, no è proprio a me , pensavi e il piede si appoggiava mesto sul pavimento e con un movimento rassegnato, si andava a posare vicino a quell'altro, quasi che nella vicinanza ci si potesse consolare. "Ma io stavo uscendo..." provi a contrattare. "Esci dopo, mò scrivi." Il broncio che compariva istantaneo sulle tue labbra era così poco camuffabile che la battuta successiva era " 'E tien' nu muss' ca' arriv' a Procit'!... Jamm' c'amma scriv' 'a list' p'a spes' e Natal' ... scriv.... " e giù parole come se piovesse... : Frutti di mare, vermicelli insalate, cavolfiori... " No, cancell' .. torna indietro... leggi un pò ... sì sì..vabbuon' accus'. Po' qualche altra cusarella la pigliamo mano mano c' arricurdamm'...." Come Giasone alla ricerca del vello, così ci si imbarcava alla ricerca di tutte le cose necessarie, indispensabili affinchè la cena della vigilia e il pranzo di natale, potesse riuscire con successo. 
Sarebbe stata una cosa semplice se la spesa la si fosse potuta fare tutta da una parte e invece no, già nella spesa quotidiana non accadeva, figurarsi per quella natalizia. Si partiva allora per il giro delle sette chiese : bisognava prendere la carne ma non tutta dalla stessa persona però, eh sarebbe stato troppo semplice! Una parte da Tizio, una parte da Caio... e come per la carne, così per tutte le altre cose. 
Le quattro cusarelle che bisognava prendere strada facendo, diventavano una spesa dentro la spesa; la lista invece di accorciarsi, si allungava sempre di più e il chiacchiericcio era spesso spesso interrotto da un "Uh, e mo' mi scordavo......" Così il primo giorno di vacanza da scuola se ne era volato e ti si stringeva il cuore per la paura che anche altri giorni si sarebbero persi così, tra alici, pinoli, uva passa.... Ogni negozio, ogni banchetto era l'occasione per scambiare quattro parole con gli altri, per contrattare... per perdere tempo, almeno per te. Se, e solo se, per grazia divina, tutta la spesa, tutti gli acquisti erano stati abbastanza soddisfacenti ( cosa che era utopia pura!) , il ritorno a casa nn era meno stressante. Le prime parole erano " Mammamiabella! ( pausa con le mani appoggiate sui fianchi e lo sguardo che affogava in mezzo a buste e busticelle) E mò addò a mett' tutta sta rrobb'? " 
Ma il posto per tutte quelle cose che si sarebbero trasformate in delizie per il palato, usciva sempre. Era un stringi di qua, sposta di là; a coronare la fine delle fatiche un bel "AH!" di soddisfazione. 
Una volta che tutto era sistemato, si passava alla fase successiva che era quella delle "spartenze": eh già perchè bisognava dividere le cose non tanto per generi, del tipo carne con la carne, uova con le loro compagne no.... bisognava divider per .. uso: "Allora, prendi queste uova qua e le metti vicino a quella farina, che mi serve per fare la pasta.." e via di seguito. 
Ma il vero incubo era la verdura, un 'invasione verde prendeva possesso della tua casa, foglie verdi, ricce, lisce, scure e chiare, alcune quasi argentate, tutte votate alla vera regina del Natale, la minestra maritata. Ogni famiglia aveva la sua ricetta che era nettamente superiore a quella di tutti gli altri, ogni famiglia era l'unica vera dentrice dell'unica e sola vera ricetta della minestra maritata. 
Fortunatamente per quella c'era ancora un poco di tempo e allora, prima che fosse troppo tardi, scappavi fuori, con quattro nocelle, comprate poco prima, nella tasca per giocare con i tuoi amici, veloce, lesto lesto e di soppiatto prima che a qualcuno venisse in testa di chiamarti di nuovo perchè si era dimenticato qualche altra "cusarella"....


martedì 3 settembre 2013

U' Sant

 Un anno scandito non dai fogli del calendario che volavano via come foglie d'autunno, ma piuttosto segnato da eventi che,se pure per lo spazio di pochi giorni, mettevano a soqquadro il tran tran quotidiano . 
Accadimenti precisi che aiutavano a scandire il passare del tempo, puntuali, che si ripetevano con rassicurante precisione. 
Tutto l'anno era costellato di queste piccole ricorrenze ma solo in certo periodo si poteva realmente dire che raggiungevano il loro apice, praticamente un anno che cominciava dal mese di Maggio e che finiva Settembre. 
Ad aprire le danze ci pensava Santa Restituta e ci si incominciava a scrollarsi di dosso un pò di polvere invernale.
In verità, a Marzo con san GiovanGiuseppe, avevi incominciato ad intravedere, tra una pioggia e un fuji fuji, uno spiraglio ma sembrava piuttosto una prova generale, una sorta di assaggio per la festa grande. quella che aspettavi con trepidazione alla fine d'Agosto. Fosse solo per il fatto che si andava in trasferta, in un altro comune,la festa di maggio aveva un sapore diverso.
Il tripudio di colori e di luminarie, le file di bancarelle che vendevano di tutto, ti abbagliava e riempiva gli occhi per tutta quella abbondanza. 
"Andiamo alla festa ma (e si sapeva che ci doveva essere sempre un ma), solo dopo che siamo andati in chiesa, ci fermiamo alle bancarelle.... 
UN solo giocattolo eh, e non fare picci che altrimenti nemmeno quello!" 
Timidamente azzardavi a chiedere .."magari un giro sulla giostra....". " Eh , mo vediamo...nun mittiimm' pretese.." Non era proprio un sì, ma era sempre meglio del no categorico che avevi temuto. 
Dopo la funzione in Chiesa, dove ti avevano comprato quell'anello di latta con l'effige del santo, nella speranza che un pò di quella santità ti potesse rimanere azzeccata addosso almeno per l'arco la serata, con l'odore dell'incenso, con la mano stretta e sudata nella morsa della mamma, del papà o di chi in quel momento ti aveva in consegna, cominciavi l'avventura e la scoperta del giocattolo da scegliere; appena ne vedevi uno che sì pareva essere quello giusto, vedevi con un lampo dello sguardo, sulla bancarella appresso, un' altra bellissima pazziella che ti faceva l'occhietto... e via di questo passo finchè tra una quaquetta calda ed un lupino fresco, tra una fetta di cocco e un pezzetto di 'o per' e 'o muss, trovavi quello che era perfetto. 
Ad ogni festa era abbinato un acquisto speciale : a Santa Restituta e San Vito erano le feste migliori; la prima perchè la scuola era quasi finita e l'estate tuzzuliava alla porta per cui ci scappava di fuori mano il sandaletto , la magliettina e cose cosi; a San Vito si era ufficialmente in vacanza e, con ben 3 mesi e più di dolce far niente dinnanzi, la mente era tutta proiettata verso il divertimento " Uè, mò verimm 'e nun ci sfrenà..." 
Per di più ,così come era per "la Turca" ,anche per questo santo toccava allontanarsi dal proprio comune e perciò valeva doppio. 
Prima, però alla festa di Sant'Antonio, diretto concorrente del santo foriano, si completavano le ultime spese per le case che si dovevano fittare :caccavelle di allumnio, qualche coperchio e il servizio di piatti, quello di gesso, quello da due soldi, che non appena lo appoggiavi un poco più forte , non appena si toccavano piatto e piatto, saltava via la "scarda", il piatto si sbreccava ed era solo da buttare. 
Il 29 giugno, si tornava a giocare in casa, con san Pietro, le bancarelle che si inerpicavano lungo tutta la ripida salita, tanto che chinandoti a guardare le staffe , ti accorgevi delle zeppe che venivano poste sotto le gambe di ferro dei banconi,per cercare di addolcire quella pendenza, per creare un certo, precario equilibrio. 
Fuochi d'artificio per concludere le serate, che alle 9 c'era ancora il sole in cielo, il giudizio sui fuochisti, su chi era stato più bravo, più preciso. 
Un mese scarso di pausa, nel quale però non si stava con le mani in mano, che c'erano le barche da preparare per la festa di Sant'Anna. 
Lo spettacolo dell'incendio del Castello ti lasciava senza fiato, tanto che pareva che pigliava fuoco per davvero e l'immagine di tutte le luci delle barche che sfilavano, a festa finita, sull'acqua come tanti fuochi fatui, aveva un certo sapore fiabesco. 

Eppoi arrivava la Festa grande, quella di San GiovanGiuseppe. 
"Piglia a cuperta, chell cu pizz' e sangallo, no chell' ' e seta ca fa chiù bell'" tutti i balconi, dove fino a poco prima erano stesi i panni, venivano vestiti a festa, con coperte e tovaglie preziose, odorose di lavanda e rosmarino, di pezzette di sapone, violetta di Parma, tirate fuori, messe in bella mostra per abbellire le strade dove sarebbe passata la processione; le luci dei balconi venivano accese e da quel particolare ti rendevi conto di quanto corte fossero diventate le giornate. La visita alla casa del santo, dove tra un 'Ave maria e un Gloria al Padre, speravi che non ci sarebbero state le solite soste con i conoscenti, i pizzicotti sulle guance, i " ma come ti sei fatto grande, come passa il tempo, eh!", tutti convenevoli inutili che servivano solo a ritardare il momento di salire su quella benedetta giostra, di attaccarti con una mano alla catena che reggeva la sedia e sporgerti con quell'altra, per poter, finalmente, afferrare quel fiocco, che l'anno scorso ti era mancato tanto poco per arrivarci, per essere guardato anche tu, come era successo ad altri gli anni prima, con quel misto di ammirazione e d'invidia. 
Visi su visi che si sovrapponevano, persone venute da molto lontano e che, commosse, portavano notizie di altri che non erano potuti venire, arrivi e partenze giostrate sul filo del rasoio per non perdersi la Festa. " Ja, scegliti un ombrello che non si sa come , ma 'a casa nost' i 'mbriell' scumparn'! chissà che fin fann'...".
Si entrava in questo androne dove erano esposti tutte le forme e le tipologie che potevi immaginare : a spicchi che parevano arcobaleni, neri , lugubri tristi come giornate senza pane, con manici di legno, di ottone, lisci, ricurvi....
 Confuso da tutti questi bastoni appesi, ne vedevi uno, di lontano, lucido, e lo additavi. Lo avevi scelto ( o era il contario ?) perchè così trasparente come era, avresti alzato la testa e saresti stato capace di osservare, come da dietro un vetro, la pioggia. "Ma chist' subito si scassa.... si sicur' ca vuò propri chistu cà? Sicur?". 
Annuivi ed incrociavi le dita, sapevi che la fase della contrattazione era ormai in atto e facevi il tifo, ma muto senza dare a vedere quanto ci tenessi sennò "Quelli lo sconto non te lo fanno...". Alla fine, tira e molla, l'oggetto del desiderio era lì nelle tue mani, ma c'erano ancora da fare tanti acquisti, bisognava prepararsi per la scuola e allora la compera dell'ombrello era solo un riscaldamento, la sfida vera arrivava quando ci si avvicinava alle bancarelle di quaderni,di zaini, di penne rosse nere e blu, di astucci colorati...Lì c'era ben poco da fare, si prendeva quello che necessitava e se poi questo corrispondesse o meno al tuo gusto personale, beh era solo questione di fortuna, anche se, qualche concessione veniva fatta. 
"Vabbuò 'e pigliamm' stu portacolor' ca..." "Pure per quest'anno è fatta, meno male, mi sono tolto il pensiero. Mo avviamoci che cominciano i fuochi.." Tutti con il naso all'insù, tra un "bello" ed un altro, con l'ombrello tra le mani , ti trafiggeva il pensiero che questi sarebbero stati gli ultimi botti dell'estate, che quello che stavi vedendo, era una specie di festa di fine anno , che settembre era, quasi quasi, un capodanno. Sulla punta del naso cominciavi allora a fare il conto di quanto tempo mancava alla prossima festa :"a Sant'Antuono" pensavi "si fanno i fuocarazzi, ma niente bancarelle; mi sa che si deve aspettare fino alla fine di Gennaio, la Festa di San Ciro, mi devo comprare le palle di zazà... eppoi la festa di San Gabriele a Casamicciola... ma viene prima o dopo....." 
Nel mentre eri preso da questa matematica, una mano ti si poggiava sulla testa "Uè,ma ch' stai cuntann'?" "Niente, stavo contando i fuochi che stavano sparando.." "Belli, eh, hai visto che bei colori, eppoi un fuoco tutto bello, seguito, senza interruzioni..." 
Mica potevi confessare quella strana malinconia che ti aveva preso, proprio lì alla bocca delle stomaco e allora, sgusciando noccioline , facevi cadere bucce e pensieri nello stesso sacchetto e parlavi di come era stata bella la Festa.

domenica 30 dicembre 2012

Un regalo di Natale


Tutto è buio, tutto tace. 
Dormi profondo, quando una mano, dolcemente, ti scrolla le spalle. 
Una voce, lontana lontana, ti sussurra che ti devi alzare...
Pensi che sia un sogno, che quella voce non sia di questo mondo,ma che sia una eco dei tuoi sogni. 
La scrollatina di prima, si trasforma in una scossa sempre più vigorosa...e ti rammenti che anche se è buio, ti devi alzare. 
Un occhio si apre a malapena, mentre l'altro, non ne vuole proprio sapere...
Con gli arti pencolanti ti avvi verso la cucina per bere un sorso di latte, spiluccare un pò di pane... lo  stomaco, non abituato a mettersi in  moto a quell'ora antidiluviana, non ne vuole sapere di ingollare cibo ma, si sa, non si può uscire di casa digiuni. 
Ti lavi la faccia come se fossi un gatto, senza molta convinzione. 
Ondeggiando, torni in camera tua a vestirti, oggi ti tocca due di tutto : doppio maglione, doppio calzettone.... cappello, sciarpa guanti, manco dovesssi andare in Siberia! 
Così bardato, ti avvi al seguito dei grandi; ondeggi e barcolli ancora e stavolta non per colpa del sonno, che quello si è dissipato per l'eccitazione, ma per l'imgombro dei vestiti . 
Il freddo polare che pensavi fosse appostato dietro la porta della tua casa calda, non c'è; il vento tagliente che ti aspettavi è un appiccicoso vento di scirocco e, prima ancora di cominciare a camminare, già sudi. 
Con gli occhi rivolgi una muta preghiera ai tuoi accompagnatori che ti concedono, graziosamente, di sbottonare un pò la giacca e ti toglierti i guanti. 
Le strade, quelle che fai tutti i giorni, luccianti di "rosata", hanno un'aria nuova, misteriosa e da lontano vedi la bruma che circonda la luce di quei pochi lampioni accesi, come un'aureola. 
Prima ancora di giungere a destinazione, ti accolgono l'odore del mare ed il vociare delle persone, i tuoi occhi, insieme alla strada che si slarga mprovvisamente, riescono ad abbracciare, in un colpo solo, un brulicare di gente. 
Prima di tuffarti in quel mare di persone, una stretta  alla mano, ti costringe a guardare in sù  "Non mi lasciare la mano per nessuna ragione, altrimenti ti perdi e in questo caos, dove ti vengo a pescare? 
Non tengo tempo da perdere per venirti a cercare, eh!  
Mi raccomando! ( quel "raccomando" veniva detto come se l'accento cadesse, prepotente, sulla prima sillaba cossicchè alle tue orecchie, risuonava piuttosto come un  RAccomando! ). 
Tra un  " A quanto lo metti al chilo,.. Noo troppo caro... se, se lo dici tu che è fresco, Auguri a te e tutta la famiglia...; chissà da quanto lo tenevi stipato... mamma mia, chist' tene l'uocchie affussat' proprio!, vieni trascinato di banco in banco. 
I pescatori, li conosci un pò tutti, almeno di vista, ma in quell'aria leggermente ancora  intrisa di brina, ti pare che assumano contorni nuovi. 
Gli stivaloni verdi, alti fino alle ginocchie, le cappotte dell'acqua, alcune gialle, alcune verdi, i berretti, neri o blu, li fanno piuttosto somigliare a personaggi di quel libro che ti avevano regalato tempo fa.... capitani coraggiosi... o qualcosa del genere, al momento non ti ricordi bene, sono eroi di ritorno dall'oceano e dal quel mare lontano hanno portato meraviglie da esporre, da fare vedere, come in una di quelle fiere di paese, dove ci sono i tendoni, con le persone che fanno la fila e pagano il biglietto per poter vedere quegli strani animali.... "Vieni a vedere... c'è un capitone con una testa grossa così", ti dice un  ragazzino mimando con le mani la dimensione della testa del pesce, quasi come se le parole non fossero abbastanza, non potessere descrivere quella meraviglia!  
Nella tinozze, anguille degli abissi si dibattono, indomite e, accanto a queste, stesi sulle spaselle, su un letto di alghe , giacciono granseole, moderni kraken del mare del nord;  eppoi ancora murene con bocche così grandi da poter ingoiare un bue intero....e mille altre cose stupefacenti.  " E meno male che ti avevo  Raccomandato di non allontanarti...." insieme ad un uno scuzzetto veloce dietro la nuca ti fanno rendere conto che, mannaggia a bubbà, ti eri allontanato. 
Con gli occhi stretti, il collo incassato, pronto a subire, come un pugile ormai alle corde, la ramanzina con eventuale contorno di buffettone, stupito e guardingo, senti dire  "E vabbè, per OGGI , non fa niente... nun me vogli' intussecà 'a jurnata primm' ancor' ca  accumenzz'!"  Sfoderando un sorriso ampio tanto quanto il sollievo che provi, ringrazi in cuor tuo Gesù che ti ha anticipato questo regalo di Natale.



mercoledì 14 novembre 2012

pane e pomodoro

    "Sali che è pronta" ... e lì, dove prima c'era un nugolo di bambini chiassosi, si formava il vuoto. 
Era arrivata la chiamata... una valeva per tutti, minuto più minuto meno... finalmente. 
Ora quel morso allo stomaco si sarebbe placato, quel langurio sarebbe stato soddisfatto... la merenda era pronta. 
Saltavi gli scalini a quattro a quattro e la trovavi, avvolta in un tovagliolo di carta bianco, oppure in quella carta marrone che era servita ad avvolgere il pane e che ne conservava il profumo. 
Per tutti, con qualche rara eccezione , era la stessa : pane e pomodoro. Ma, come spesso succede, a generalizzare si fa presto... 
Ci stava il culurcio, il quarto di panello, le fettine.. eppoi il pomodoro fresco, quello di piennolo..... varianti infinite della stessa bontà. 
Poteva capitare, rara eccezione , che la tua, di merenda non fosse ancora pronta. "Mangiati un poco di pane e formaggio, un poco di pane e mortadella, nun aggià tenut' tiemp' e te fà... " Allora tu pensavi, e che ci vuole a fare un poco di pane e pummarola....e, in un rigurgito di indipendenza dicevi "Mo me lo faccio io!" "Ma mo, nun vene sapurit....."ribattevano, ma oramai avevi cominciato ... e dovevi finire. Prendevi il pane lo tagliavi, il pomodoro, l'olio, il sale ti pareva di aver fatto.. 
Già dal primo morso ti accorgevi che c'era qualcosa che non andava, non che non fosse buono, ma mancava quel certo.... non sapevi manco tu cos'era. 
Allora, deluso, rigiravi tra le mani il prodotto della tua fatica, ti aveva levato sì la fame, ma non soddisfatto il palato; il pizzo, l'ultimo morso, quello che non si spartiva con nessuno, quello che chiamavano "il boccone del cuore" era rimasto duro...ripensavi a tutto quello che avevi fatto e, tirando le somme, ti pareva che non mancasse niente. 
Intanto in cucina, silenziosamente, mamma, zia, cugina grande, insomma ,l'addetta alla merenda, andava nello stipo a prendere il pane avanzato del giorno prima e intanto, come stesse rimuginando tra sè e sè parlottava " U pan' ru juorn primm' è meglio, ma ci devi tenere l'accortenza di bagnarlo un poco, no troppo' cà se spugn' e ven na papocchia...." 
Sbocconcellando i resti dell pane che ti eri preparato, rimanevi a guardare, il gesto rapido del polso che tagliava la cocchia della grandezza desiderata, le mani che tenevano salde la parte terminale, il culurcio vero e proprio ed il bagliore fulmineo del coltello che si infilava, chirurgico, tra mollica e crosta; tre dita tiravano fuori, con decisione e delicatezza, un cono perfetto, di polpa bianca, che veniva accantonata, solo per il momento, sul marmo della cucina.
 Dal rubinetto scorreva un filo d'acqua, sottile come un capello e sotto quel filo d'argento, il pane veniva bagnato, velocemente, un visto e non visto. 
Osservavi solo le mani, come se tutto il resto della persona non esistesse più, ipnotizzato seguivi i gesti, a volte lenti, a volte rapidi... Ora le dita ghermivano la bottiglia, la tenevano ben salda, per il collo, con il pollice a fare da diga, con un movimento circolare del polso, si dosava l'esatta quantità di olio che abbisognava, l'indice poi strofinava il liquido verdastro sulle pareti del cono vuoto. 
Le dita ora si ricomponevano in una mano, quella stessa mano poi, prendeva i pomodori, quelli che stavano lì, sul ripiano della cucina, non quelli che avevi preso tu dal frigo. E sì che li avevi anche visti e ti eri chiesto, così di sfuggita, come mai fossero rimasti fuori....
Con un sapiente colpo d'unghia, il frutto veniva spaccato in due, in due metà imperfette, e sotto la pressione dei polpastrelli si apriva come una rosa dall'interno carnoso e strofinato con forza. "A pummarola s'adda 'mbruscinà buon 'ngopp' 'u pane... " sentivi che mormorava quella voce, un'eco lontana nelle tue orecchie, rapito com'eri a vedere come quegli elementi che si fondevano l'uno dentro l'altro. 
Lievi, il pollice e l'indice pizzicavano il sale dal barattolo e, strofinandosi tra di loro, facevano scendere i granelli, come fossero una spruzzatina di pioggia d'aprile. 
Un'altra repentina imbruscinata del dito indice per far amalgamare tutti gli ingredienti eppoi il culrcio veniva richiuso, tappato, sigilllato come un buon vino, con il la mollica, quella che era stata tirata fuori e messa da parte. Le mani, tutte e due, schiacciavano piano il tutto , almeno un paio di volte, prima in un verso eppoi in un altro, finchè, con una ultima mossa, lo riportavano alla forma originaria, o quasi. "Ecco qua". 
Risvegliato da queste parole, ti alzavi di scatto. Quanto tempo era passato? Una occhiata veloce all'orologio appeso al muro e realizzavi che erano passati più o meno, dieci minuti... lo stesso tempo che ci avevi messo tu a fare il pane e pomodoro...."Grazie" dicevi pronto a prenderti la tua merenda, quella vera, ma con un buffetto leggero sulla mano, venivi fermato "Eh, no, questo te lo mangi stasera, mò s'adda arripusà." Dal tiretto le mani, sempre le stesse, tiravano fuori un tovagliolo di lino bianco e avvolgevano con cura il pane; il tovagliolo come una coperta, per garantire il giusto riposo a quel pane che era stato tagliato, sezionato, schiacciato, a quei pomodori che erano stati strofinati, consumati, maltrattati. 
"Perciò ti avevo detto che non sarebbe stato saporito... per certe cose ci vuole tempo, ogni cosa 'u tiemp' suoje....si vai tropp' ' e press', nun s'arriv' a 'nsapurà..." Un pò rammaricato, a testa bassa, andavi via, ma ti consolava l'idea che, quella stessa sera ti saresti gustato una prelibatezza, che il pizzo del culurcio, la parte finale, quella più dura, sarebbe stata, invece, ammorbita dall'olio e dal pomodoro e che l'ultimo boccone sarebbe stato davvero il quello del cuore.

lunedì 15 ottobre 2012

dualismi

Dire che noi "uagliuni" eravamo tutti uguali era vero solo se erano i grandi a guardarci. 
 Tra noi le differenze esistevano, eccome. 
 Erano piccole sottigliezze che agli occhi degli adulti avevano importanza alcuna e che invece , per noi, erano oggetto di discussione, litigio e qualche piccola invidia. 
Si correva, molto e forte, come solo a quell'età si può fare , e, come solo a quell'età, cadevi rovinosamente. Ti facevi male, certo, pure tanto ma, tranne che in casi rari, non era niente di così grave che una crema, un pò di disinfettante e qualche carezza non potessero curare. 
 Le ginocchie, i gomiti erano sempre sbucciati, non c'era tempo per guarire che cadevamo di nuovo, ancora e ancora. 
Ci divertivano a toglirci le "puzzichelle", ad infilare le unghie sotto le crosticine e toglierle piano con delicatezza e guardare quella pelle bianca, nuova che si intravedeva appena. " E nun t' scazzicà a puzzechell' ca te rummann' o marc'" " M' par' 'na cartina geografica, pe comm' stai cumbinat!", ma tu, incurante dei consigli caslinghi, continuavi, anzi speravi che ti rimanesse il segno.
 Quelle scorticature raccontavano storie di arrampiacate, di scivoloni e scivolate, cacce a palloni, salti mal calcolati.
 Erano il tuo biglietto da visita, il tuo lasciapassare, il preteso visibile per raccontare quello che era successo a te o chiedere agli altri cosa era accaduto loro "Questa me la sono fatta quella volta che sono caduto....." L'ennesimo capitobolo ti costringeva a tornare un attimo a casa , solitamente segiuto da uno o due amici, un pò per consolarti e un pò come testimoni di quello che doveva accadere di lì a poco. "Jà, famm' vere ch' t' si fatt'... ah.. cos' 'e nient'!" 
Lo stipetto del bagno si apriva e, accanto all'ovatta, vedevi la bottiglia; il contenuto, di quel rosa pallido pallido, veniva fuori con uno spruzzo deciso ed il suo odore già ti faceva piangere gli occhi. Ti contorcevi, la tua faccia era tutta una smorfia di dolore "E nun fa tutt' 'ste moss'!" ti dicevano e tu, rimando "Ma brucia.... " "E tu soffia!" e soffiavi su quella ferita che parevi un mantice . 
C'erano dei binomi imprescindibili: l'alcool stava al mercurio di cromo come l'acqua ossigenata stava alla tintura di iodio. Quando l'alcool era evaporato, solo allora, si tirava fuori la boccettina magica, quella che bisognava maneggiare con molta cura. Piccola, marrone, il tappo bianco e dal tappo, spuntava fuori quel piccolo cappuccetto di gomma morbida, rosso come il liquido che contenteva. 
Gli occhi guzzzavano dalla tua ferita, ai tuoi amici, alla boccettina....una, due, tre gocce al massimo se il taglio era grave. Congedati con un " Mò jat' a pazzià..." e di sottofondo " cu sta robb' m'ammacchia semp' e man'", tornavi a giocare, eri ancora un pò ammaccato ma fiero, e mostravi, come un generale, la tua medaglia. Quella macchia rossa, fosforescente, spiccava come un fuoco d'artificio, prova palese del tuo coraggio.
 I compagni ti accoglievano come se fossi un eroe, e quelli che erano venuti con te " Manco una parola ha detto!", loro che sì sapevano quanto poteva bruciare l'alccol; mormoravano fra loro " 
Gli hanno messo pure il mercurio cromo!" come a sottolineare che forse l'acciaccamento era stato più grave di quello che avevano creduto."Beat' 'a te..... a me mi mettono la tintura di iodio.... io glielo ho detto che mi piace più il mercurocromo (e lo diceva così, tutto insieme, perdendosi quella vocale che in mezzo, serviva a spezzare, a prendere fiato tra una parola e l'altra), ma dicono che macchia troppo.....". 
Tu capivi benissimo quello che in realtà il tuo amico ti voleva dire; con quella giustificazione ti stava dicendo che lui, non era un fifone, che avrebbe sopportato benissimo la prova dell'alcool, che non era colpa sua e che mentre la tua medaglia si sarebbe stinta con eleganza, lasciando un lieve color arancione come testimonianza, la tintura sarebbe sbiadita, virando dal suo colore ambrato, ad un giallogno indefinito. 
Mai gli avresti confessato che, beh, anche tu per una volta, avresti rinunciato volentieri a quella rosa scarlatta, che avresti preferito di gran lunga l'acqua ossigenata all'alcool ma la sola cosa che in quel momento ti veniva in testa era "Vabbò, allora vuol dire che la prossima volta che ti fai male, vieni a casa mia!".Intanto, tra una cosa e l'altra, si era fatta ora di merenda.

lunedì 8 ottobre 2012

uva e fichi

Settembre era il mese dove si cominciava a cambiare, seppur di poco, il ritmo delle giornate , a rallentare un pò , riprendere fiato. 
Il caldo ti dava un poco di pace, almeno di notte. 
 Il letto, che fino a pochi giorni prima, ti pareva una sudario dove ti giravi e rigiravi come un capitone nel barile, ora era fresco e avevi addirituttura un brivido quando ti ci infilavi dentro, ti veniva giusto quel poco poco di pelle d'oca che ti faceva tirare il lenzuolino sulle spalle, specie di prima mattina. Rinfrancato, ti alzavi e facevi colazione con il tazzone senza manico, il latte, piacevolmente tiepido, ti scendeva nella gola e ti scrollava di dosso gli ultimi scampoli di sonno. 
Ora, quando ti alzavi, il sole non era più così feroce, anzi sembrava quasi indeciso ,come se pure lui volesse godersi un altro pò la frescura della notte, stanco d'aver lavorato tutta l'estate. Era un mese freneticamente tranquillo, le cose da fare erano sì ancora tante,ma sembrava che si potessero fare tutte con calma, senza stanchezza perchè " 'Ngraziann' a Di', 'u calor' fort' è ammancat', a nott' s' arriposa" e il sonno era finalmente ristoratore, ti dava energie fresche.
 I fichi, messi a seccare fuori, erano quasi pronti per essere infilzati sugli spiedi "Nun te scurdà e c' mett' 'a fogli' 'e lauro frisc" che l'alloro una volta seccatosi, avrebbe regalato ai fichi quel lievissimo profumo, anticipo di mesi freddi ancora molto al di là da venire; " E gir' 'nu poco 'a cunserv'' casinò chill', 'u sal', s'ammasa tutt' a una part'" e se si rovinava quella delizia di pomodori prosciugati dal sole, il coniglio delle domeniche venture non sarebbe venuto saporoso.
 I compiti da portare a termine erano tanti, tante quante le cose che erano state lasciate in sospeso; i tempi di maturazione, di essiccazione dei vari frutti erano diversi, i fichi, i pomodori, le noci, eppure per una strana alchimia, seguendo un calendario secolare, quasi tutti si ritrovavano ad essere pronti nel mese di settembre, quasi che si fossero passati la voce, di fare presto, perchè c'era un avvenimento che di lì a poco avrebbe assorbito le energie e le forze di tutti e allora non ci sarebbe più stato tempo nè per cucire i "piennoli" di pomodoro, nè di setacciare la camomilla e tantomeno di mettere " l'areteca rind' 'e buccacc' ".
 La notizia veniva data dall'oggi al domani, che bisognava approfittare delle giornate di buon tempo. "Allora domenica si va a vendemmiare da...." "E allora c' ci amma purta'...." Le parole, dette ad mezza voce, come ripasso mentale, davano inzio a quelli che sembravano essere preparativi per un esodo di massa: i panni di ricambio, qualche asciugamano, l'insalata di patate, "U cunigl' no, chill 'u port a cummara..." e tante altre cose che ai tuoi occhi sembravano perfettamente inutili,ma che si dovevano portare "Pecchè ponn semp' servì". 
Quando tutto era pronto, ci si poteva finalmente muovere :i grandi divisi nelle varie macchine e tutti i ragazzi nel furgone, caricati a" cascione" insieme con tutto l'armamentario. Il tragitto sembrava un viaggio, la prospettiva "cascione" cambiava il modo di vedere le cose, sembrava una giostra al contrario. Ogni tanto ti arrivava la voce dei quello che guidava "Stateve quiet'" e doveve urlare forte assaje il poverino, per poter sovrastare il forte rumore del furgone, che era però niente in confronto alle nostre risate; ad ogni buca il furgone faceva un piccolo balzo e tu con lui, l'atterraggio, non certo dei più mordidi, scatenavascrosci di risa. Scendevi acciaccato, dolorante, ma non sapevi se era più la pancia che ti faceva male per le risate o il sedere per i rimbalzi, e subito venivi inghiottito dalle persone, tante. Eri un pò spaesato all'inizio, c'era la comare tale, il compare tal altro era tutto un "Fatti vedere quanto sei cresciuto..." " Comm pass 'u tiemp' ..." 
A fatica raggiungevi i tuoi coetanei che ti guardavano, loro che avevano già subito la trafila, e piano piano quella timididezza, quello scuorno, l'imbarazzo del "E mò?", passava presto. I compiti assegnati ai più giovani erano semplici, "porta la canesta piena, svacantala, e portal' a ret' ". 
 Se eri uno i quelli belli, bravi ed ubbidienti, allora potevi anche avere il privilegio di tagliare un grappolo d'uva dalla vigna, con le forbici con le lama corte corte, ma era cosa, quella, destinata a pochi. Perlopiù si scorrazzava per i filari, portando i cesti,dando un occhio a quelli più piccoli. La vigna era tutto un vociare, un chiamare da parte a parte, un cantare, chi a mezza voce, chi a gola spiegata, finchè arrivava il tempo del pranzo. Panche arrangiate con tavole di ponte appoggiate su mattoni abbracciavano una tavola strapiena di ogni bendidio, tintinnio di posate, di bicchieri; si parlava tutti insieme, le conversazioni si accavallavano finchè, lentamente si spegnevano ad una al punto che la tavolata tutta si zittiva per ascoltare un solo narratore. In silenzio, si veniva rapiti dalla storia e vedevi gli adulti ritornare indietro nel tempo, bere quelle parole proprio come facevi tu, quando erano loro a raccontarle a te . Se ti avvicinavi per chiedere qualcosa, venivi subito zittito con un "Statt' zitt' 'e famm' sentì.." 
 Finito il racconto si rimaneva ancora qualche istante in silenzio fino a quando la magia veniva spezzata da un.. "Mamma mia comm' se fatt' tard! C'amma movere si vulimm' furnì" e il ritmo riprendeva, ognuno ritornava al proprio compito. Il pomeriggio volava, oramai le giornate si erano accorciate, ma il grosso del lavoro era fatto. Un poco alla volta e pochi alla volta , si faceva ritorno a casa; ci si attardava nei saluti, nelle ultime raccomandazioni, nelle promesse di aiuto per gli anni futuri "Sì vò DDio"; 
 anche tu salutavi quei tuoi compagni che incontravi una volta sola all'anno, promettevi, anche tu, di venire l'anno prossimo . Una volta a casa, posate le borse con uno sbuffo, correvi a lavarti " Pecchè sti cumbintat' comm' 'nora 'e nott'!", ma neanche il sapone di marsiglia riusciva a togliere quel dolce profumo d'uva. Con la testa che ciondolava ora da una parte, ora dall'altra, ti sforzavi di rimanere sveglio, lottavi contro il sonno, avresti voluto sentire quello che si diceva della giornata trascorsa. Venivi liquidato con un "Vatt 'a cuccà, ca manc' allerta te mantien'! " allora ti infilavi nel letto, ti tiravi il lenzuolino sulle spalle, facevi un sospiro profondo e, tra gli odori di mosto, marsiglia, di fichi, prendevi il grappolino che ti eri portatoo, di nascosto, a casa, ti infilavi un acino in bocca e, con il gusto di quell'uva aspretta sulla punta della lingua, cedevi, sfinito, al sonno. 

venerdì 28 settembre 2012

spruzzatine di pioggia

        Inesorabile arrivava la prima pioggia d'estate ed era gioia e sollievo per tutti. 
Per i contadini , così le viti si sarebbero abbeverate dopo l'arsura, dopo il caldo, il solleone, che sì rendeva l'uva dolce anticipando il vino che sarebbe divenuto così amabile, ma che se durava da troppo, quella stessa uva, rischiava di rovinarla; i pescatori la salutavano impazienti così il mare si sarebbe " arrifrescato", "arrevutat'"ed i pesci, rimasti giù giù nel profondo per sfuggire, loro come tutti, al caldo sarebbero saliti a galla, a mangiare, finendo quasi da soli nelle reti.
" E' mal tiemp! Stann' pigliann' i crastauriell'".
Che pesce fosse questo e come si chiamasse in italiano neanche lo sapevi, ma non era importante. 
L'informazione che ti serviva era solo quella, il legame indissolubile tra crastauriell' e mal tiemp, il cattivo tempo che sarebbe arrivato entro poco, pochissimo tempo. Il periodo, più o meno era sempre lo stesso , metà di agosto, più verso la fine. 
"E' megl' quann' s' e rompenn' i tiemp' ambress". L'esperienza insegnava che quando i tempi si "rompevano" troppo in là, allora i bagni di settembre sarebbero stati più freddi del dovuto, perchè "O sol' nun ten' chiù a forz 'e scarfà 'o mar". " Maaa.....e mo' se mis' a chiov'!" come se tutti i segnali che aleggiavano nell'aria da giorni fossero stati dimenticati e la pioggia fosse arrivata così, di colpo."Curr a luà i pann,....peccat' erano quasi asciutti" "Speriamo che nu fa a rannine ,casino l'uva s'ammazzuchea tutta", e la barca a mare e le strade che si allagavano. 
Tutto ad un tratto quell'acqua voluta, aspettata, diventava motivo d'angoscia. Per tutti tranne che per noi che stavamo alla spiaggia. Appena il più piccolo strizzico ti cadeva addosso, correvi a buttarti a mare , se non c'eri già. Ti tuffavi e sott'acqua, a pancia all'aria, guardavi le gocce che trafiggevano la superfice del mare come tanti spilli. Riemergevi e , insieme a tutti gli altri, rovesciavi la testa all'indietro con la speranza che un pò di pioggia ti si posasse sulla lingua, mescolando così insieme il sapore salato del mare e quello dolce dell'acqua piovana. 
I due liquidi di composizione simile ma di natura così diversa ti avviluppavano e tu eri per una volta linea di orizzonte, ostacolo fisico alla loro ricongiunzione.Ti ritiravi a casa e non avevi bisogno di scrollarti i piedi dalla sabbia, avevi già provveduto sciaquandoli nelle pozzanghere che si erano formate via via. "Asciuttat ca me pare nu purpitiell" e l'asciugamano di lino grezzo ti frizionava e ti riscaldava la pelle che un pò initirizzito eri. L'aria era in casa odorava di bucato fresco, di cose buone cucinate , odori che ora con gli infissi chiusi, ritrovavano il loro posto, dopo aver vagabondato in giro. 
Orami asciutto e rifocillato "Pigliate nu poco d' uorgio (orzo) accussi te scarf", speravi che smettesse presto presto. Volevi uscire di nuovo, goderti l'aria fresca di fuori, il profumo di resina e terra bagnata, di strade lavate, di mare arrevutato. Cominciavi a vestirti, a cercare nell'armadio, nei cassetti, quei vestiti che erano rimasti per tanto tempo dimenticati . "Uè, nun mett' rivoluzione dint' o taratur'!" "Ma mo ch' ja fà cu 'stu cazon luong, fa caur.. pur 'e cazittini, uh Sant'Aniell'!" Ma non c'era niente da fare, quella era la divisa della prima pioggia, corredata volendo anche del maglioncino di filo. 
Quello lo potevano sfoggiare solo i più audaci e temerari, quelli che avevano abbastanza fegato da sfidare gli sfottò familiari, e lo portavano, giustamente, sulle spalle, a modo di mantello, come quello di un cavaliere. Ti infilavi il pantalone lungo e la pelle delle gambe, ancora piene di sale, si ribellava a quella stoffa dura alla quale si era disabituata, Ti incontravi con i tuoi compagni e ti vedevi come nel riflesso di uno specchio : jeans , camicia, maglietta, scarpetta da ginnastica (per le ragzze era prevista la variante gonna, ma allora il calzino doveva fare il risvolto giusto in corrispondenza della caviglia, al di sopra della scarpetta da ginnastica) Eravate vestiti tutti allo stessa maniera, ma non in modo uguale. 
Ognuno conservava il proprio stile, chi la camicia la metteva dentro, chi fuori, chi preferiva la maglietta. Si faceva una passeggiata, si andava in giro, a comprarsi un gelato, a guardare il passeggio. All'ora del rientro eri "spugnato" di sudore, i capelli azzeccati in testa così come la maglietta era incollata alla schiena; i piedi intanto bollivano in quelle scarpette e i calzini erano zuppi. Per non parlare del prurito insopportabile che ti causava il pantalone... ma fiero ed impettito varcavi la soglia di casa, pronto ad affrontare gli sfottò "la prossima volta pure il maglioncino mi porto!", pensavi. 
Venivi accolto, vista la condizione nella quale eri, con un'occhiata ironica e con un" U purp se coce cu l'acqua soja..." 
Avresti voluto controbattere ma avevi troppa fretta di andarti a spogliare per poterlo fare.

martedì 25 settembre 2012

cambio scambio

Un momento importante era il cambio di stagione.
Già nei giorni precedenti qualche avvisaglia c'era stata "Mamma mia, quant' si criscut', a robb' 'e l'ann passat' sicur nun te va chiù!" 
Seguiva riunione di famiglia che doveva stabilire se c'erano panni da recuperare, se avevi bisogno di panni per tutti i giorni o panni buoni:la linea di marcazione era netta, separava da una parte i vestiti che adoperavi quotidianamente, per giocare, per andare a scuola,insomma per vivere,da quelli "buoni" quelli della domenica, delle ricorrenze, quelli che indossavi quando andavi a fare "visita" a qualcuno.
Una volta deciso, tutta la famiglia era coinvolta ed usciva "affa' spes'".
Il Comandante era la mamma, quella che ti avvertiva già prima di mettere il naso fuori di casa " Comportati bene. 
Lo so io quello di cui hai bisogno!" In fondo tu eri solo quello che li doveva indossare , mica ti dovevano piacere x forza. 
Il consigliere della mamma era, a seconda dei casi, una zia una cugina più grande.
Questa processione di avviava lenta, i piccoli davanti "Pecchè t'aggia veré" mentre i grandi attardavano il passo chiacchierando. 
L'impazienza di noi bambini veniva quietata con un richiamo materno "Ué a vulite furnì?".
Per ogni compera, c'era il negoziante specifico: per le scarpe da Tittillo, ad Ischia Ponte. 
"Buonasera" e la tua carovana invadeva il negozio, si andava ad aggiungere alle altre persone presenti, scatole aperte, fogli di carta velina che parevano volare nell'aria, scarpe scompagnate buttate alla rinfusa , con bambini appollaiati da tutte le parti, pareva che ttte le mamme del mondo si fossero date voce e decso di incontrarsi là.
In cuor tuo già sapevi che la partita di pallone, almeno per quella sera, era persa che nn avresti mai fatto in tempo a raggiungere i tuoi compagni e riconoscevi negli occhi degli altri malcapitati come te la stessa rasssegnazione. Perchè andare a far spese nn era qualcosa che si poteva risolvere nel giro di poco... SE tutto andava bene, cioè se trovavi il modello che piaceva, il numero il colore e la resistenza, si passava al momento cruciale. 
Il prezzo. 
Si cominciava a contrattare. La Mamma che diceva " NO, a questo prezzo qua nn lo voglio" e il negoziante, Tittillo,con infinta pazienza e calma che cercava di convincerla che la qualità era ottima, che aveva fatto bene a prendere una misura un poco più grande. Una giostra che durava a lungo tra minacce da una parte ed dall'alltra "Mo me ne vac, ma comm' 'nuie venimm' a accattà cà a man a patet' e tu ci tratt' accussì?" Di questo tira e molla ti mettevi vergogna e provavi a dire"Vabbè ma nn è necessario", venendo immediatatmente zittito da un'occhiata perforante.
Quando ormai tutto sembrava perduto ai tuoi occhi, partita, scarpe e quant'altro, c'era l'intervento salvifico della zia/ cugina. "Vabbuò allora si mi fai un'altra piccola accortenza, piglio 'e scarp' pure per mio figlio, pur' si nun tenev' cap' 'e accattà nient' stasera.".
 E la giostra cominciava tutta daccapo.

    

domenica 23 settembre 2012

note nell'aria

 Estate o inverno poco importava.
 La mattina, ogni mattina, le imposte andavano aperte."A cas' addà sventià".
Rannicchiato nel letto tiepido di sogni,lasciavi che i  suoni di casa prendessero piano piano il sopravvento e ti ritrovavi in  quella zona d'ombra che non era  veglia ma neanche più sonno, una zona d'ombra dove i sogni e la realtà per un attimo si incontrano. Il tutto ti arrivava ovattato : l'acqua che scorreva nell'acquaio, gli scuri che cozzavano contro il muro mentre si aprivano le porte, un tappeto sbattuto. 
I rumori della tua casa si mescolavano a quelle delle altre, dove, come in infinito un piano sequenza, succedevano le stesse cose. Il latte tiepido con giusto quella goccia di caffè, che gli dava quel leggero colore marroncino, le tazze senza manico, il pane del giorno prima, duro al punto giusto da essere inzuppato, ma che nn si "ammollava"troppo. 
Se eri convalescente, allora c'era lo zabaglione... fatto con l'uovo portato dalla comare "Accussì simm' sicur ch' è frisc". 

Erano questi i suoni che ti accompagnavano nel corso della giornata, il cucchiaio che sbatteva contro la ceramica della tazza e tanto più il rumore era intenso tanto più  sapevi che ti aspettava una spuma d'uovo e che dello zucchero, sulla lingua, nn si sarebbe sentito nemmeno il più piccolo granello; una bussola sbattuta, la cucchiarella di legno che rimbalzava contro la pentola , dove cuoceva il pranzo. Il contenuto della pentola stessa poi, cambiava melodia a seconda di quello che si cucinava. Il tuo naso ti suggeriva che cosa c'era quel giorno per pranzo, ma erano le tue orecchie a sentirne la voce. Un sobbollire lento e costante era la promessa sicura di un piatto di pasta con la salsa,non necessariamente ragù; il tono del ragù era greve, forse stanco di pippiare per tanto tempo; la salsa semplice, quella senza carne, era di un tono più alto mentre dalla voce allegra e sbarazzina dell'olio che soffriggeva nella padella era chiaro che era salsa al filetto di pomodoro, alla marinara insomma.
A questi rumori casalinghi c'erano poi da aggiungere quelli dei venditori ambulanti. Il giovedì c'era il vecchino che veniva con la bicicletta e chiamava "Muzzarell' ' e surrient!", se invece sentivi un confabulare basso basso che proveniva dalla cucina e a questo ci aggiungevi il rumore del caffè che usciva dalla macchinetta,non poteva che essere sabato, giorno in cui veniva la signora della campagna a portare il coniglio da cucinare l'indomani; la comare, quella dell'uovo fresco, arrivava puntuale di mercoledì e la sua risata argentina ne preannunciava l'arrivo molto prima che giungesse alla porta di casa.Tutti questi suoni e rumori che facevano parte integrante della tuo quotidiano erano in realtà solo un sottofondo, il vero protagonista era il canto. 
Si cantava, sempre, tutti. Donne con voci da tenori ed uomini con voci da soprano, vecchi e bambini, ognuno il suo repertorio.  Gli uomini preferivano arie di opere o la classica napoletana afronn 'è limone; le donne si dilettavano con la musica leggera, le vecchine poi erano esperte in canzoni ecclesistiche, a noi toccavano le fliastrocche anche se eravamo incuriositi ed attratti un pò da tutte.  Si cantava per rabbia, per amore, come l'auciell' 'n caiola, per sfogarsi per esprimere gioia o dolore, per fede. Le voci ti arrivavano da tutte le parti e canzoni diverse si incrociavano nell'aria,  musica lirica e musica leggera, moderna ed antica, italiana e napoletana cossicchè per uno strano caso del destino, Peppino di Capri cantava insieme a Claudio Villa, Battisti e Bovio camminavano appaiati. 
La musica ed il canto erano talmente parte di te che anche tu stavi cantando e manco te ne eri accorto.

vestimento

Vestiti sù che dobbiamo andare a fare visita a ...." 
Non riuscivi a finire di sentire la frase che già ti eri scocciato .
Andare a "fare visita "era quasi un affare di Stato. Quasi come la passeggiata della Domenica, ma elevata all'ennesima potenza. 
Nel tuo piccolo cercavi di fare un piccolo golpe, adducendo mal di testa improvvisati, mosse di viscere subitanei, affari importantissimi che proprio non potevi rimandare e quant'altro la tua fantasia, presa così "all'intrasatta", riusciva a suggerti. 
Un'alzata di sopraciglia e l'assenza della domanda "Dove ti fa male?" ti lasciava capire che non c'erano cascati nemmeno per un attimo. 
Passavi allora al contrattacco con occhiate, sorrisini, complimenti e bieco servilismo "Che ti serve, te lo prendo io.."inutili tentativi di corruzione. 
Qualche volta poi, preso da insolito coraggio, c'era l'aperta ribellione: "Non ci voglio venire", oppure la lagna "E ja... già sono venuto l'altra volta" o, ancora , lo scarica barile "Tanto ti porti a..." tirando in ballo qualche fratello cugino o lontano parente, innescando,se questi erano presenti, la reazione immediata dello stesso "E mò ch' ci tras'io?". Lo fulminavi , a quello,con lo sguardo, con le labbra mute e con un gesto della mano gli promettevi una "liscibussa" senza pietà al tuo ritorno."T'aggia ritt' ca ti à vestì" Era il secondo richiamo,cercavi di opporre tutta la resistenza che ti era possibile ma al terzo appello non c'era scampo: "E muovet'! casino facimm' tard." 
La frase poteva essere pronunciata, a seconda dell'umore, ad alta voce e quindi si risolveva con un "allucco" lungo e prolungato che tutte le parola parevano fuse insieme ,il che era più spaventoso per le orecchie,ma non così grave,oppure con tono basso e greve e allora sì era "malu tiemp' a punent' ".Te ne andavi borbottando. "E nu sbuffà,m' par' San Pietr' murmuliatore... tene semp' a che dicere.......e lavat' a faccia primm' 'e te vestì!"I panni buoni erano preparati sul letto: maglia o camicia, pantaloncino o gonna.. i sandali francescani, blu o marroni, o , se era stagione avanzata, le scarpe con gli occhietti, blu, da mettere con i calzini, bianchi, di cotone o filo di scozia "Sinnò se scauran' 'e pier' ".
Quando eri vestito di tutto punto, si passava alla fase due, la più dolente, nel senso letterale della parola."Vien' ca t'aggia pettinà". 
Moggio moggio,ti avviai verso il bagno, dove ti aspettava con il pettine brandito a mo' di spada.Non c'era una gran scelta di acconciature : riga al lato, capello azzeccato in testa x i maschietti, coda di cavallo o codini x le femminucce; il pettine bagnato passava nei capelli tra un "Ahi" tuo e un "Ma che so, fil' 'e lenz sti capill?!"della controparte. 
Il risultato finale che a te pareva orrendo era una capigliatura ammaccata e momentaneamente addomesticata, codini o coda tirati fino al punto che ti lacrimavano gli occhi. Qualcuna avrebbe preferito un bel cerchietto,lunghi sulle spalle; qualcuno avrebbe gradito una bella aureola incolta di riccioli... ma se osavi chiedere, la risposta, in ogni caso, era la stessa: "Ma stai accussì bellil'.. No comm' e vuò purtà tu, i capilli tutt' scelat' ca se magnann' tutt' a facella"."Fatt' verè...." l'occhio critico scrutava alla ricerca di una qualche imperfezione, nell'abbigliamento nella pettinatura, controllo orecchie, denti, unghie.Una toccatina quà, una raddrizzata, il sorriso sul viso ti faceva capire che l'ispezione era completata ed il risultato soddisfacente. "Statte bell' quiet' quiet'.
Mo assettate, nun t' mover' e nun te spurcà ca maggia furnì 'e preparà".
In cuor tuo ti chiedevi il perchè ti dovevi prepare prima tu, nn era meglio se eri l'ultimo, così nn ti scocciavi; seduto punta punta sulla sedia, per nn sgualcire i pantaloni/ gonna, ti perdevi nei tuoi pensieri di figurine, di salti con la corda....finchè una voce ti richiamava da quello stato di trance..."Ué, allora... jamm' jà .Stai semp' ca cap' 'a 'nata parte! Jamm' ca ce stann' aspettann'..."

marosi

L'inverno aveva messo le briglie ai ritmi frenetici dell'estate. 
Ci eravamo rassegnati ai pomeriggi chiusi in casa, alla pioggia, al freddo. 
Sfruttavamo gli intervalli di bel tempo per ritornare fuori a goderci gli scampoli di un sole giallo pallido, lontano parente di quello estivo.
Era passato l'equinozio d'inverno e tutti gli anni si ripeteva lo stesso proverbio"Santa Lucia nu passe 'e gallina, a Sant'Aniello nu passe 'e pecuriello " e ti accorgevi che sì le giornate si erano allungate, ma "scurava notte" sempre troppo presto.
L'estate sembrava lontanissima a noi bambini che vivevamo un eterno presente che anche domani era un concetto così fuori dal tempo. Di solito succedeva a metà Gennaio, o tuttalpiù inizio Febbraio, sempre di sera, quando ormai la giornata era finita e carosello pure. I grandi attorno al tavolo ad aspettare il film della sera "Alle ore 20 e 40 andrà in onda... " leggevano le varie annunciatrici . 
Tutto era quiete e silenzio, le case riscaldate da quelle stufette elettriche con la resistenza a spirale, a due o tre elementi; in qualche casa resisteva ancora il braciere che poi bisognava portare fuori,prima di andare a letto. 
La pace veniva di colpo interrotto dalle voci furiose delle campane,una chiamata imperiosa che ti diceva che era ora di indossare gli stivali di gomma neri,quelli che x infilarli ci dovevi mettere il borotalco, altrimenti avevi voglia di spingere, ma il tallone nn ne voleva proprio sapere di scendere!Si correva tutti giù alla spiaggia, a tirare le barche, a metterle in salvo , era arrivata la mareggiata.
Sacchi di sabbia davanti alle porte di casa x cercare di arginare quel mare che voleva per forza entrare, ospite atteso ma nn invitato , nelle case dei pescatori della Mandra, della Marina del porto......
Noi bambini guardavamo stupiti quello spettacolo di solidarietà umana, persone che per strada nn si degnavano nemmeno di uno sguardo in memoria di chissà quale vecchio ed antico torto, si trovavano ora gomito a gomito, a cercare di salvare le barche nn importava di chi fossero... in quel momento era l'uomo che lottava contro la natura. 
Il tutto era rapidissimo, la scena era stata ripetuta talmente tante volte e da tante generazione da essere iscritta nel corredo genetico.
Quando si era fatto tutto il possibile, gli uomini restavano a chiacchierare mentre donne e bambini si avviavano verso casa. La conta dei danni si sarebbe fatta l'indomani mattina. 
A noi piccoli toccava una ciliegia sotto spirito "cu tutt' 'o fridd' che pigliat' te ven' pure qualcosa", magari nn ti piaceva neanche ma era una cosa "da grandi" e ciò ti bastava. 
Si andava a letto con ancora l'odore del mare nelle narici e nelle orecchie lo sbattere delle onde "Speriamo che domani nn piove, così scendiamo alla spiaggia, vediamo se riesco a trovare qualcosa. L'anno scorso il mio amico ha trovato un anello... , buono buono nn trovo niente, vado a vedere come sta combinato lo Scotch( oggi Jane)... " era l'ultimo pensiero che ti accompagnava tra le braccia del sonno.

rena

Mi ricordo l'estate, quando il frinire delle cicale era assordante, il silenzio era d'obbligo in casa, andare a mare di primo pomeriggio era inimmaginabile. 
Tutt'al più si poteva scendere dopo le 4, quando era finita la contr'ora. 
Mica però ti facevi il bagno.. si scendeva a giocare, canottiera e pantaloncini, infinite partite di calcio, pallavolo, tilisch (nascondino), con le voci delle donne delle spiaggia che urlavano "Ma jat' 'a pazzià vicine 'e cas' vost'!".
Il bucato steso sulla spiaggia che garriva al soffio del maestrale. E di nuovo le signore"Ué, i pann'... è inutile ca fujite... ve canosc' a un a un... mo ce dic' 'e mmamm' voste". 
Il ritorno a casa, quando temevi che la signora veramente avesse fatto l'imbasciata alla tua mamma, oppure quando "scasualmente" ti capitava di cadere a mare.....l'urlo materno "Scutultiatev' 'e pier' ca me purtat' tutta a rena a casa.... "

aranciata e pomata

Vai un momento da Catello... piglia 'sta "pumata". 
Con il resto ti compri un'aranciata, alla fenestella". 
Così popolarmente veniva chiamato quel piccolo chioschetto accanto alla farmacia che esponeva limoni ed arance , vendeva spremute, acqua fresca con il ghiaccio o senza; promettevano, quelle bibite, di estinguere quell'arsura che solo da bambini si sente .
L'ultima raccomandazione casalinga : M'arraccumamm' nu perd' tiemp' pa' via..."
Allora , si correva a perdifiato , con i soldi stretti nella mano per nn perderli.Entravi in farmacia ed il repentino cambio di luce ti lasciava per un brevissimo, lunghissimo attimo, cieco. Poi ti avvicinavi al bancone che era quasi più alto di te, tutto di legno e che sapeva di mani passate, preoccupazioni , consigli , canfora.
Aspettavi il turno paziente, attento che nessuno si fregasse il tuo posto, che dopo c'era l'aranciata che ti aspettava. 
Da dietro il bancone, ti si avvicinava quest'omone, o almeno a noi bambini sembrava tale, con i baffi bianchi spioventi ed un pò ingialliti dalla nicotina e dal tempo. "Che ti serve, piccirì ?" tu, intimorito, aprivi la mano e lasciavi cadere i soldi, stropicciati e sudaticci ed, insieme a questi, il cartoncino con il nome del prodotto che ti avevano dato a casa "casomai ti scordassi come si chiama". Gli occhiali calati sul naso, il baffo che si muoveva mentre leggeva, lui appariva per ricomparire con quello che ti occorreva. 
"Dici a mamma che questa la deve usare... " e ti dava la spiegazione meglio del bugiardino. "Grazie e buona sera Battista" "Ciao piccirì salutami i tuoi" E già era pronto per un altro consiglio mentre tu schizzavi fuori a berti la tua meritata ricompensa.

acqua

Un mormorio sommesso eppoi tutto un corri corri... scappa di qua afferra di là, chiama la zia , la cugina, la nipote, la dirimpettaia: Di lì a poco quel sommesso cicaleccio diventa un fragore di urla, di nomi chiamati, "dai una voce pure a... che forse nn lo sa.." "E' arrivata, è arrivata!" . 
Il rumore di catini sbattuti, secchi riempiti, folli corse alla ricerca di un qualsiasi contenitore che potesse custodire quel bene prezioso , indispensabile. 
"E' arrivata l'acqua!""Ah, finalmente!". La vasca da bagno riempita fino quasi all'orlo perkè "Chissà se domani la mandano...""E comm' facimm' casinò?""Ah ,no questa storia deve finire! 
Tutti gli anni la stessa storia! Mò mi sò scocciata, Piglì 'o nummer' 'e Carlo(Artiano, idraulico di famiglia)" "Carlo? So Nin' ' ngopp' all'arz'... tien' assaje ch' fà... Vuless' mett' nu deposito pe l'acqua...., vien' nu mument'.."E così arrivò il deposito per l'acqua.. grande !1000 litri.. di eternit grigio... con relativa autoclave, quella con la palla rossa... un miracolo della meccanica! 
Da quel giorno in casa il rumore dei catini e del corri corri fu sostituto dal campanello: "Nina, me disse 'nu poc' d'acqua ca so rummass' senz.