mercoledì 14 novembre 2012

pane e pomodoro

    "Sali che è pronta" ... e lì, dove prima c'era un nugolo di bambini chiassosi, si formava il vuoto. 
Era arrivata la chiamata... una valeva per tutti, minuto più minuto meno... finalmente. 
Ora quel morso allo stomaco si sarebbe placato, quel langurio sarebbe stato soddisfatto... la merenda era pronta. 
Saltavi gli scalini a quattro a quattro e la trovavi, avvolta in un tovagliolo di carta bianco, oppure in quella carta marrone che era servita ad avvolgere il pane e che ne conservava il profumo. 
Per tutti, con qualche rara eccezione , era la stessa : pane e pomodoro. Ma, come spesso succede, a generalizzare si fa presto... 
Ci stava il culurcio, il quarto di panello, le fettine.. eppoi il pomodoro fresco, quello di piennolo..... varianti infinite della stessa bontà. 
Poteva capitare, rara eccezione , che la tua, di merenda non fosse ancora pronta. "Mangiati un poco di pane e formaggio, un poco di pane e mortadella, nun aggià tenut' tiemp' e te fà... " Allora tu pensavi, e che ci vuole a fare un poco di pane e pummarola....e, in un rigurgito di indipendenza dicevi "Mo me lo faccio io!" "Ma mo, nun vene sapurit....."ribattevano, ma oramai avevi cominciato ... e dovevi finire. Prendevi il pane lo tagliavi, il pomodoro, l'olio, il sale ti pareva di aver fatto.. 
Già dal primo morso ti accorgevi che c'era qualcosa che non andava, non che non fosse buono, ma mancava quel certo.... non sapevi manco tu cos'era. 
Allora, deluso, rigiravi tra le mani il prodotto della tua fatica, ti aveva levato sì la fame, ma non soddisfatto il palato; il pizzo, l'ultimo morso, quello che non si spartiva con nessuno, quello che chiamavano "il boccone del cuore" era rimasto duro...ripensavi a tutto quello che avevi fatto e, tirando le somme, ti pareva che non mancasse niente. 
Intanto in cucina, silenziosamente, mamma, zia, cugina grande, insomma ,l'addetta alla merenda, andava nello stipo a prendere il pane avanzato del giorno prima e intanto, come stesse rimuginando tra sè e sè parlottava " U pan' ru juorn primm' è meglio, ma ci devi tenere l'accortenza di bagnarlo un poco, no troppo' cà se spugn' e ven na papocchia...." 
Sbocconcellando i resti dell pane che ti eri preparato, rimanevi a guardare, il gesto rapido del polso che tagliava la cocchia della grandezza desiderata, le mani che tenevano salde la parte terminale, il culurcio vero e proprio ed il bagliore fulmineo del coltello che si infilava, chirurgico, tra mollica e crosta; tre dita tiravano fuori, con decisione e delicatezza, un cono perfetto, di polpa bianca, che veniva accantonata, solo per il momento, sul marmo della cucina.
 Dal rubinetto scorreva un filo d'acqua, sottile come un capello e sotto quel filo d'argento, il pane veniva bagnato, velocemente, un visto e non visto. 
Osservavi solo le mani, come se tutto il resto della persona non esistesse più, ipnotizzato seguivi i gesti, a volte lenti, a volte rapidi... Ora le dita ghermivano la bottiglia, la tenevano ben salda, per il collo, con il pollice a fare da diga, con un movimento circolare del polso, si dosava l'esatta quantità di olio che abbisognava, l'indice poi strofinava il liquido verdastro sulle pareti del cono vuoto. 
Le dita ora si ricomponevano in una mano, quella stessa mano poi, prendeva i pomodori, quelli che stavano lì, sul ripiano della cucina, non quelli che avevi preso tu dal frigo. E sì che li avevi anche visti e ti eri chiesto, così di sfuggita, come mai fossero rimasti fuori....
Con un sapiente colpo d'unghia, il frutto veniva spaccato in due, in due metà imperfette, e sotto la pressione dei polpastrelli si apriva come una rosa dall'interno carnoso e strofinato con forza. "A pummarola s'adda 'mbruscinà buon 'ngopp' 'u pane... " sentivi che mormorava quella voce, un'eco lontana nelle tue orecchie, rapito com'eri a vedere come quegli elementi che si fondevano l'uno dentro l'altro. 
Lievi, il pollice e l'indice pizzicavano il sale dal barattolo e, strofinandosi tra di loro, facevano scendere i granelli, come fossero una spruzzatina di pioggia d'aprile. 
Un'altra repentina imbruscinata del dito indice per far amalgamare tutti gli ingredienti eppoi il culrcio veniva richiuso, tappato, sigilllato come un buon vino, con il la mollica, quella che era stata tirata fuori e messa da parte. Le mani, tutte e due, schiacciavano piano il tutto , almeno un paio di volte, prima in un verso eppoi in un altro, finchè, con una ultima mossa, lo riportavano alla forma originaria, o quasi. "Ecco qua". 
Risvegliato da queste parole, ti alzavi di scatto. Quanto tempo era passato? Una occhiata veloce all'orologio appeso al muro e realizzavi che erano passati più o meno, dieci minuti... lo stesso tempo che ci avevi messo tu a fare il pane e pomodoro...."Grazie" dicevi pronto a prenderti la tua merenda, quella vera, ma con un buffetto leggero sulla mano, venivi fermato "Eh, no, questo te lo mangi stasera, mò s'adda arripusà." Dal tiretto le mani, sempre le stesse, tiravano fuori un tovagliolo di lino bianco e avvolgevano con cura il pane; il tovagliolo come una coperta, per garantire il giusto riposo a quel pane che era stato tagliato, sezionato, schiacciato, a quei pomodori che erano stati strofinati, consumati, maltrattati. 
"Perciò ti avevo detto che non sarebbe stato saporito... per certe cose ci vuole tempo, ogni cosa 'u tiemp' suoje....si vai tropp' ' e press', nun s'arriv' a 'nsapurà..." Un pò rammaricato, a testa bassa, andavi via, ma ti consolava l'idea che, quella stessa sera ti saresti gustato una prelibatezza, che il pizzo del culurcio, la parte finale, quella più dura, sarebbe stata, invece, ammorbita dall'olio e dal pomodoro e che l'ultimo boccone sarebbe stato davvero il quello del cuore.