venerdì 28 settembre 2012

spruzzatine di pioggia

        Inesorabile arrivava la prima pioggia d'estate ed era gioia e sollievo per tutti. 
Per i contadini , così le viti si sarebbero abbeverate dopo l'arsura, dopo il caldo, il solleone, che sì rendeva l'uva dolce anticipando il vino che sarebbe divenuto così amabile, ma che se durava da troppo, quella stessa uva, rischiava di rovinarla; i pescatori la salutavano impazienti così il mare si sarebbe " arrifrescato", "arrevutat'"ed i pesci, rimasti giù giù nel profondo per sfuggire, loro come tutti, al caldo sarebbero saliti a galla, a mangiare, finendo quasi da soli nelle reti.
" E' mal tiemp! Stann' pigliann' i crastauriell'".
Che pesce fosse questo e come si chiamasse in italiano neanche lo sapevi, ma non era importante. 
L'informazione che ti serviva era solo quella, il legame indissolubile tra crastauriell' e mal tiemp, il cattivo tempo che sarebbe arrivato entro poco, pochissimo tempo. Il periodo, più o meno era sempre lo stesso , metà di agosto, più verso la fine. 
"E' megl' quann' s' e rompenn' i tiemp' ambress". L'esperienza insegnava che quando i tempi si "rompevano" troppo in là, allora i bagni di settembre sarebbero stati più freddi del dovuto, perchè "O sol' nun ten' chiù a forz 'e scarfà 'o mar". " Maaa.....e mo' se mis' a chiov'!" come se tutti i segnali che aleggiavano nell'aria da giorni fossero stati dimenticati e la pioggia fosse arrivata così, di colpo."Curr a luà i pann,....peccat' erano quasi asciutti" "Speriamo che nu fa a rannine ,casino l'uva s'ammazzuchea tutta", e la barca a mare e le strade che si allagavano. 
Tutto ad un tratto quell'acqua voluta, aspettata, diventava motivo d'angoscia. Per tutti tranne che per noi che stavamo alla spiaggia. Appena il più piccolo strizzico ti cadeva addosso, correvi a buttarti a mare , se non c'eri già. Ti tuffavi e sott'acqua, a pancia all'aria, guardavi le gocce che trafiggevano la superfice del mare come tanti spilli. Riemergevi e , insieme a tutti gli altri, rovesciavi la testa all'indietro con la speranza che un pò di pioggia ti si posasse sulla lingua, mescolando così insieme il sapore salato del mare e quello dolce dell'acqua piovana. 
I due liquidi di composizione simile ma di natura così diversa ti avviluppavano e tu eri per una volta linea di orizzonte, ostacolo fisico alla loro ricongiunzione.Ti ritiravi a casa e non avevi bisogno di scrollarti i piedi dalla sabbia, avevi già provveduto sciaquandoli nelle pozzanghere che si erano formate via via. "Asciuttat ca me pare nu purpitiell" e l'asciugamano di lino grezzo ti frizionava e ti riscaldava la pelle che un pò initirizzito eri. L'aria era in casa odorava di bucato fresco, di cose buone cucinate , odori che ora con gli infissi chiusi, ritrovavano il loro posto, dopo aver vagabondato in giro. 
Orami asciutto e rifocillato "Pigliate nu poco d' uorgio (orzo) accussi te scarf", speravi che smettesse presto presto. Volevi uscire di nuovo, goderti l'aria fresca di fuori, il profumo di resina e terra bagnata, di strade lavate, di mare arrevutato. Cominciavi a vestirti, a cercare nell'armadio, nei cassetti, quei vestiti che erano rimasti per tanto tempo dimenticati . "Uè, nun mett' rivoluzione dint' o taratur'!" "Ma mo ch' ja fà cu 'stu cazon luong, fa caur.. pur 'e cazittini, uh Sant'Aniell'!" Ma non c'era niente da fare, quella era la divisa della prima pioggia, corredata volendo anche del maglioncino di filo. 
Quello lo potevano sfoggiare solo i più audaci e temerari, quelli che avevano abbastanza fegato da sfidare gli sfottò familiari, e lo portavano, giustamente, sulle spalle, a modo di mantello, come quello di un cavaliere. Ti infilavi il pantalone lungo e la pelle delle gambe, ancora piene di sale, si ribellava a quella stoffa dura alla quale si era disabituata, Ti incontravi con i tuoi compagni e ti vedevi come nel riflesso di uno specchio : jeans , camicia, maglietta, scarpetta da ginnastica (per le ragzze era prevista la variante gonna, ma allora il calzino doveva fare il risvolto giusto in corrispondenza della caviglia, al di sopra della scarpetta da ginnastica) Eravate vestiti tutti allo stessa maniera, ma non in modo uguale. 
Ognuno conservava il proprio stile, chi la camicia la metteva dentro, chi fuori, chi preferiva la maglietta. Si faceva una passeggiata, si andava in giro, a comprarsi un gelato, a guardare il passeggio. All'ora del rientro eri "spugnato" di sudore, i capelli azzeccati in testa così come la maglietta era incollata alla schiena; i piedi intanto bollivano in quelle scarpette e i calzini erano zuppi. Per non parlare del prurito insopportabile che ti causava il pantalone... ma fiero ed impettito varcavi la soglia di casa, pronto ad affrontare gli sfottò "la prossima volta pure il maglioncino mi porto!", pensavi. 
Venivi accolto, vista la condizione nella quale eri, con un'occhiata ironica e con un" U purp se coce cu l'acqua soja..." 
Avresti voluto controbattere ma avevi troppa fretta di andarti a spogliare per poterlo fare.

martedì 25 settembre 2012

cambio scambio

Un momento importante era il cambio di stagione.
Già nei giorni precedenti qualche avvisaglia c'era stata "Mamma mia, quant' si criscut', a robb' 'e l'ann passat' sicur nun te va chiù!" 
Seguiva riunione di famiglia che doveva stabilire se c'erano panni da recuperare, se avevi bisogno di panni per tutti i giorni o panni buoni:la linea di marcazione era netta, separava da una parte i vestiti che adoperavi quotidianamente, per giocare, per andare a scuola,insomma per vivere,da quelli "buoni" quelli della domenica, delle ricorrenze, quelli che indossavi quando andavi a fare "visita" a qualcuno.
Una volta deciso, tutta la famiglia era coinvolta ed usciva "affa' spes'".
Il Comandante era la mamma, quella che ti avvertiva già prima di mettere il naso fuori di casa " Comportati bene. 
Lo so io quello di cui hai bisogno!" In fondo tu eri solo quello che li doveva indossare , mica ti dovevano piacere x forza. 
Il consigliere della mamma era, a seconda dei casi, una zia una cugina più grande.
Questa processione di avviava lenta, i piccoli davanti "Pecchè t'aggia veré" mentre i grandi attardavano il passo chiacchierando. 
L'impazienza di noi bambini veniva quietata con un richiamo materno "Ué a vulite furnì?".
Per ogni compera, c'era il negoziante specifico: per le scarpe da Tittillo, ad Ischia Ponte. 
"Buonasera" e la tua carovana invadeva il negozio, si andava ad aggiungere alle altre persone presenti, scatole aperte, fogli di carta velina che parevano volare nell'aria, scarpe scompagnate buttate alla rinfusa , con bambini appollaiati da tutte le parti, pareva che ttte le mamme del mondo si fossero date voce e decso di incontrarsi là.
In cuor tuo già sapevi che la partita di pallone, almeno per quella sera, era persa che nn avresti mai fatto in tempo a raggiungere i tuoi compagni e riconoscevi negli occhi degli altri malcapitati come te la stessa rasssegnazione. Perchè andare a far spese nn era qualcosa che si poteva risolvere nel giro di poco... SE tutto andava bene, cioè se trovavi il modello che piaceva, il numero il colore e la resistenza, si passava al momento cruciale. 
Il prezzo. 
Si cominciava a contrattare. La Mamma che diceva " NO, a questo prezzo qua nn lo voglio" e il negoziante, Tittillo,con infinta pazienza e calma che cercava di convincerla che la qualità era ottima, che aveva fatto bene a prendere una misura un poco più grande. Una giostra che durava a lungo tra minacce da una parte ed dall'alltra "Mo me ne vac, ma comm' 'nuie venimm' a accattà cà a man a patet' e tu ci tratt' accussì?" Di questo tira e molla ti mettevi vergogna e provavi a dire"Vabbè ma nn è necessario", venendo immediatatmente zittito da un'occhiata perforante.
Quando ormai tutto sembrava perduto ai tuoi occhi, partita, scarpe e quant'altro, c'era l'intervento salvifico della zia/ cugina. "Vabbuò allora si mi fai un'altra piccola accortenza, piglio 'e scarp' pure per mio figlio, pur' si nun tenev' cap' 'e accattà nient' stasera.".
 E la giostra cominciava tutta daccapo.

    

domenica 23 settembre 2012

note nell'aria

 Estate o inverno poco importava.
 La mattina, ogni mattina, le imposte andavano aperte."A cas' addà sventià".
Rannicchiato nel letto tiepido di sogni,lasciavi che i  suoni di casa prendessero piano piano il sopravvento e ti ritrovavi in  quella zona d'ombra che non era  veglia ma neanche più sonno, una zona d'ombra dove i sogni e la realtà per un attimo si incontrano. Il tutto ti arrivava ovattato : l'acqua che scorreva nell'acquaio, gli scuri che cozzavano contro il muro mentre si aprivano le porte, un tappeto sbattuto. 
I rumori della tua casa si mescolavano a quelle delle altre, dove, come in infinito un piano sequenza, succedevano le stesse cose. Il latte tiepido con giusto quella goccia di caffè, che gli dava quel leggero colore marroncino, le tazze senza manico, il pane del giorno prima, duro al punto giusto da essere inzuppato, ma che nn si "ammollava"troppo. 
Se eri convalescente, allora c'era lo zabaglione... fatto con l'uovo portato dalla comare "Accussì simm' sicur ch' è frisc". 

Erano questi i suoni che ti accompagnavano nel corso della giornata, il cucchiaio che sbatteva contro la ceramica della tazza e tanto più il rumore era intenso tanto più  sapevi che ti aspettava una spuma d'uovo e che dello zucchero, sulla lingua, nn si sarebbe sentito nemmeno il più piccolo granello; una bussola sbattuta, la cucchiarella di legno che rimbalzava contro la pentola , dove cuoceva il pranzo. Il contenuto della pentola stessa poi, cambiava melodia a seconda di quello che si cucinava. Il tuo naso ti suggeriva che cosa c'era quel giorno per pranzo, ma erano le tue orecchie a sentirne la voce. Un sobbollire lento e costante era la promessa sicura di un piatto di pasta con la salsa,non necessariamente ragù; il tono del ragù era greve, forse stanco di pippiare per tanto tempo; la salsa semplice, quella senza carne, era di un tono più alto mentre dalla voce allegra e sbarazzina dell'olio che soffriggeva nella padella era chiaro che era salsa al filetto di pomodoro, alla marinara insomma.
A questi rumori casalinghi c'erano poi da aggiungere quelli dei venditori ambulanti. Il giovedì c'era il vecchino che veniva con la bicicletta e chiamava "Muzzarell' ' e surrient!", se invece sentivi un confabulare basso basso che proveniva dalla cucina e a questo ci aggiungevi il rumore del caffè che usciva dalla macchinetta,non poteva che essere sabato, giorno in cui veniva la signora della campagna a portare il coniglio da cucinare l'indomani; la comare, quella dell'uovo fresco, arrivava puntuale di mercoledì e la sua risata argentina ne preannunciava l'arrivo molto prima che giungesse alla porta di casa.Tutti questi suoni e rumori che facevano parte integrante della tuo quotidiano erano in realtà solo un sottofondo, il vero protagonista era il canto. 
Si cantava, sempre, tutti. Donne con voci da tenori ed uomini con voci da soprano, vecchi e bambini, ognuno il suo repertorio.  Gli uomini preferivano arie di opere o la classica napoletana afronn 'è limone; le donne si dilettavano con la musica leggera, le vecchine poi erano esperte in canzoni ecclesistiche, a noi toccavano le fliastrocche anche se eravamo incuriositi ed attratti un pò da tutte.  Si cantava per rabbia, per amore, come l'auciell' 'n caiola, per sfogarsi per esprimere gioia o dolore, per fede. Le voci ti arrivavano da tutte le parti e canzoni diverse si incrociavano nell'aria,  musica lirica e musica leggera, moderna ed antica, italiana e napoletana cossicchè per uno strano caso del destino, Peppino di Capri cantava insieme a Claudio Villa, Battisti e Bovio camminavano appaiati. 
La musica ed il canto erano talmente parte di te che anche tu stavi cantando e manco te ne eri accorto.

vestimento

Vestiti sù che dobbiamo andare a fare visita a ...." 
Non riuscivi a finire di sentire la frase che già ti eri scocciato .
Andare a "fare visita "era quasi un affare di Stato. Quasi come la passeggiata della Domenica, ma elevata all'ennesima potenza. 
Nel tuo piccolo cercavi di fare un piccolo golpe, adducendo mal di testa improvvisati, mosse di viscere subitanei, affari importantissimi che proprio non potevi rimandare e quant'altro la tua fantasia, presa così "all'intrasatta", riusciva a suggerti. 
Un'alzata di sopraciglia e l'assenza della domanda "Dove ti fa male?" ti lasciava capire che non c'erano cascati nemmeno per un attimo. 
Passavi allora al contrattacco con occhiate, sorrisini, complimenti e bieco servilismo "Che ti serve, te lo prendo io.."inutili tentativi di corruzione. 
Qualche volta poi, preso da insolito coraggio, c'era l'aperta ribellione: "Non ci voglio venire", oppure la lagna "E ja... già sono venuto l'altra volta" o, ancora , lo scarica barile "Tanto ti porti a..." tirando in ballo qualche fratello cugino o lontano parente, innescando,se questi erano presenti, la reazione immediata dello stesso "E mò ch' ci tras'io?". Lo fulminavi , a quello,con lo sguardo, con le labbra mute e con un gesto della mano gli promettevi una "liscibussa" senza pietà al tuo ritorno."T'aggia ritt' ca ti à vestì" Era il secondo richiamo,cercavi di opporre tutta la resistenza che ti era possibile ma al terzo appello non c'era scampo: "E muovet'! casino facimm' tard." 
La frase poteva essere pronunciata, a seconda dell'umore, ad alta voce e quindi si risolveva con un "allucco" lungo e prolungato che tutte le parola parevano fuse insieme ,il che era più spaventoso per le orecchie,ma non così grave,oppure con tono basso e greve e allora sì era "malu tiemp' a punent' ".Te ne andavi borbottando. "E nu sbuffà,m' par' San Pietr' murmuliatore... tene semp' a che dicere.......e lavat' a faccia primm' 'e te vestì!"I panni buoni erano preparati sul letto: maglia o camicia, pantaloncino o gonna.. i sandali francescani, blu o marroni, o , se era stagione avanzata, le scarpe con gli occhietti, blu, da mettere con i calzini, bianchi, di cotone o filo di scozia "Sinnò se scauran' 'e pier' ".
Quando eri vestito di tutto punto, si passava alla fase due, la più dolente, nel senso letterale della parola."Vien' ca t'aggia pettinà". 
Moggio moggio,ti avviai verso il bagno, dove ti aspettava con il pettine brandito a mo' di spada.Non c'era una gran scelta di acconciature : riga al lato, capello azzeccato in testa x i maschietti, coda di cavallo o codini x le femminucce; il pettine bagnato passava nei capelli tra un "Ahi" tuo e un "Ma che so, fil' 'e lenz sti capill?!"della controparte. 
Il risultato finale che a te pareva orrendo era una capigliatura ammaccata e momentaneamente addomesticata, codini o coda tirati fino al punto che ti lacrimavano gli occhi. Qualcuna avrebbe preferito un bel cerchietto,lunghi sulle spalle; qualcuno avrebbe gradito una bella aureola incolta di riccioli... ma se osavi chiedere, la risposta, in ogni caso, era la stessa: "Ma stai accussì bellil'.. No comm' e vuò purtà tu, i capilli tutt' scelat' ca se magnann' tutt' a facella"."Fatt' verè...." l'occhio critico scrutava alla ricerca di una qualche imperfezione, nell'abbigliamento nella pettinatura, controllo orecchie, denti, unghie.Una toccatina quà, una raddrizzata, il sorriso sul viso ti faceva capire che l'ispezione era completata ed il risultato soddisfacente. "Statte bell' quiet' quiet'.
Mo assettate, nun t' mover' e nun te spurcà ca maggia furnì 'e preparà".
In cuor tuo ti chiedevi il perchè ti dovevi prepare prima tu, nn era meglio se eri l'ultimo, così nn ti scocciavi; seduto punta punta sulla sedia, per nn sgualcire i pantaloni/ gonna, ti perdevi nei tuoi pensieri di figurine, di salti con la corda....finchè una voce ti richiamava da quello stato di trance..."Ué, allora... jamm' jà .Stai semp' ca cap' 'a 'nata parte! Jamm' ca ce stann' aspettann'..."

marosi

L'inverno aveva messo le briglie ai ritmi frenetici dell'estate. 
Ci eravamo rassegnati ai pomeriggi chiusi in casa, alla pioggia, al freddo. 
Sfruttavamo gli intervalli di bel tempo per ritornare fuori a goderci gli scampoli di un sole giallo pallido, lontano parente di quello estivo.
Era passato l'equinozio d'inverno e tutti gli anni si ripeteva lo stesso proverbio"Santa Lucia nu passe 'e gallina, a Sant'Aniello nu passe 'e pecuriello " e ti accorgevi che sì le giornate si erano allungate, ma "scurava notte" sempre troppo presto.
L'estate sembrava lontanissima a noi bambini che vivevamo un eterno presente che anche domani era un concetto così fuori dal tempo. Di solito succedeva a metà Gennaio, o tuttalpiù inizio Febbraio, sempre di sera, quando ormai la giornata era finita e carosello pure. I grandi attorno al tavolo ad aspettare il film della sera "Alle ore 20 e 40 andrà in onda... " leggevano le varie annunciatrici . 
Tutto era quiete e silenzio, le case riscaldate da quelle stufette elettriche con la resistenza a spirale, a due o tre elementi; in qualche casa resisteva ancora il braciere che poi bisognava portare fuori,prima di andare a letto. 
La pace veniva di colpo interrotto dalle voci furiose delle campane,una chiamata imperiosa che ti diceva che era ora di indossare gli stivali di gomma neri,quelli che x infilarli ci dovevi mettere il borotalco, altrimenti avevi voglia di spingere, ma il tallone nn ne voleva proprio sapere di scendere!Si correva tutti giù alla spiaggia, a tirare le barche, a metterle in salvo , era arrivata la mareggiata.
Sacchi di sabbia davanti alle porte di casa x cercare di arginare quel mare che voleva per forza entrare, ospite atteso ma nn invitato , nelle case dei pescatori della Mandra, della Marina del porto......
Noi bambini guardavamo stupiti quello spettacolo di solidarietà umana, persone che per strada nn si degnavano nemmeno di uno sguardo in memoria di chissà quale vecchio ed antico torto, si trovavano ora gomito a gomito, a cercare di salvare le barche nn importava di chi fossero... in quel momento era l'uomo che lottava contro la natura. 
Il tutto era rapidissimo, la scena era stata ripetuta talmente tante volte e da tante generazione da essere iscritta nel corredo genetico.
Quando si era fatto tutto il possibile, gli uomini restavano a chiacchierare mentre donne e bambini si avviavano verso casa. La conta dei danni si sarebbe fatta l'indomani mattina. 
A noi piccoli toccava una ciliegia sotto spirito "cu tutt' 'o fridd' che pigliat' te ven' pure qualcosa", magari nn ti piaceva neanche ma era una cosa "da grandi" e ciò ti bastava. 
Si andava a letto con ancora l'odore del mare nelle narici e nelle orecchie lo sbattere delle onde "Speriamo che domani nn piove, così scendiamo alla spiaggia, vediamo se riesco a trovare qualcosa. L'anno scorso il mio amico ha trovato un anello... , buono buono nn trovo niente, vado a vedere come sta combinato lo Scotch( oggi Jane)... " era l'ultimo pensiero che ti accompagnava tra le braccia del sonno.

rena

Mi ricordo l'estate, quando il frinire delle cicale era assordante, il silenzio era d'obbligo in casa, andare a mare di primo pomeriggio era inimmaginabile. 
Tutt'al più si poteva scendere dopo le 4, quando era finita la contr'ora. 
Mica però ti facevi il bagno.. si scendeva a giocare, canottiera e pantaloncini, infinite partite di calcio, pallavolo, tilisch (nascondino), con le voci delle donne delle spiaggia che urlavano "Ma jat' 'a pazzià vicine 'e cas' vost'!".
Il bucato steso sulla spiaggia che garriva al soffio del maestrale. E di nuovo le signore"Ué, i pann'... è inutile ca fujite... ve canosc' a un a un... mo ce dic' 'e mmamm' voste". 
Il ritorno a casa, quando temevi che la signora veramente avesse fatto l'imbasciata alla tua mamma, oppure quando "scasualmente" ti capitava di cadere a mare.....l'urlo materno "Scutultiatev' 'e pier' ca me purtat' tutta a rena a casa.... "

aranciata e pomata

Vai un momento da Catello... piglia 'sta "pumata". 
Con il resto ti compri un'aranciata, alla fenestella". 
Così popolarmente veniva chiamato quel piccolo chioschetto accanto alla farmacia che esponeva limoni ed arance , vendeva spremute, acqua fresca con il ghiaccio o senza; promettevano, quelle bibite, di estinguere quell'arsura che solo da bambini si sente .
L'ultima raccomandazione casalinga : M'arraccumamm' nu perd' tiemp' pa' via..."
Allora , si correva a perdifiato , con i soldi stretti nella mano per nn perderli.Entravi in farmacia ed il repentino cambio di luce ti lasciava per un brevissimo, lunghissimo attimo, cieco. Poi ti avvicinavi al bancone che era quasi più alto di te, tutto di legno e che sapeva di mani passate, preoccupazioni , consigli , canfora.
Aspettavi il turno paziente, attento che nessuno si fregasse il tuo posto, che dopo c'era l'aranciata che ti aspettava. 
Da dietro il bancone, ti si avvicinava quest'omone, o almeno a noi bambini sembrava tale, con i baffi bianchi spioventi ed un pò ingialliti dalla nicotina e dal tempo. "Che ti serve, piccirì ?" tu, intimorito, aprivi la mano e lasciavi cadere i soldi, stropicciati e sudaticci ed, insieme a questi, il cartoncino con il nome del prodotto che ti avevano dato a casa "casomai ti scordassi come si chiama". Gli occhiali calati sul naso, il baffo che si muoveva mentre leggeva, lui appariva per ricomparire con quello che ti occorreva. 
"Dici a mamma che questa la deve usare... " e ti dava la spiegazione meglio del bugiardino. "Grazie e buona sera Battista" "Ciao piccirì salutami i tuoi" E già era pronto per un altro consiglio mentre tu schizzavi fuori a berti la tua meritata ricompensa.

acqua

Un mormorio sommesso eppoi tutto un corri corri... scappa di qua afferra di là, chiama la zia , la cugina, la nipote, la dirimpettaia: Di lì a poco quel sommesso cicaleccio diventa un fragore di urla, di nomi chiamati, "dai una voce pure a... che forse nn lo sa.." "E' arrivata, è arrivata!" . 
Il rumore di catini sbattuti, secchi riempiti, folli corse alla ricerca di un qualsiasi contenitore che potesse custodire quel bene prezioso , indispensabile. 
"E' arrivata l'acqua!""Ah, finalmente!". La vasca da bagno riempita fino quasi all'orlo perkè "Chissà se domani la mandano...""E comm' facimm' casinò?""Ah ,no questa storia deve finire! 
Tutti gli anni la stessa storia! Mò mi sò scocciata, Piglì 'o nummer' 'e Carlo(Artiano, idraulico di famiglia)" "Carlo? So Nin' ' ngopp' all'arz'... tien' assaje ch' fà... Vuless' mett' nu deposito pe l'acqua...., vien' nu mument'.."E così arrivò il deposito per l'acqua.. grande !1000 litri.. di eternit grigio... con relativa autoclave, quella con la palla rossa... un miracolo della meccanica! 
Da quel giorno in casa il rumore dei catini e del corri corri fu sostituto dal campanello: "Nina, me disse 'nu poc' d'acqua ca so rummass' senz.

bianco

Che l'estate era ormai alle porte te ne accorgevi da molto prima. 
Da quando la maglietta di lana a mezze maniche(che ti aveva torturato con il suo lento costante pizzicorio per tutto l'inverno) veniva rimpiazzata dalla canottiera, bianca a canaletto, fresca. 
Un refrigerio per la pelle ed un balsamo per l'anima.
Il cappotto, il giubbino, l'impermeabile passavano la mano alla maglietta,quella leggera, " 'A mattina è ancora frischett!'." 
I sensi che erano rimasti come sospesi per tutto l'inverno ,richiamati all'appello solo nelle giornate di buon tempo o i quando i compiti nn erano tanti da costringerti a passare tutta la giornata in casa, erano vigili ed attenti, tesi, pronti a percepire anche la più piccola variazione , per poter finalmente esplodere . 
L'attesa dell'estate era quasi meglio dell'estate stessa.
La mattina ti svegliavi che il sole era già bello alto in cielo ed indossavi il tuo grembiule. Ultimo controllo : "U tien' u fazzulett' 'nda sacc' ru mandisin'?" e ti avvivai a scuola, a piedi. Per strada ti facevano compagnia i profumi ritrovati,l'odore della pineta che si scrollava di dosso la rugiada e la resina ,risvegliata ,ti regalava quel prurito che ti potevi togliere solo strofinandoti il naso col dorso della mano. 
Camminavi leggero, senza peso, senza cartella perchè la maestra, anima buona, aveva detto "Visto che la scuola è quasi finita, portate solo i quaderni".
Ogni cosa pareva più lucente, più brillante come se, piano piano, anche la natura stesse preparandosi per le prove generali , strofinando ogni foglia, lavando via il grigore invernale. 
Le ore della scuola scorrevano lente lente, tra un ripasso ed un' ultima interrogazione...tra uno sbuffo ed un'occhiatina fugace fuori che "nn sia mai che si mette a piovere proprio mò!"La campanella.. tutti fuori, a correre a casa, col fiocco di traverso sul collo, quasi quasi volesse scappare più veloce di te.
Tutto il mondo , o quello che ai tuoi occhi pareva essere tutto il mondo, era investito da questa frenesia, da un'elettricità sotto pelle.Le persiane venivano smontate , lavate e riverniciate,la casa veniva messa sottosopra... si facevano le grandi pulizie, si tirava fuori" Lo Spic e Span" in polvere, quello nella scatola di cartone , l'ammoniaca per i vetri... "Ma stai semp' ammiezz!" era il ritornello costante, quando, in verità a te sembrava di stare sempre allo stesso posto, erano i grandi semmai che roteavano come trottole impazzite.... Allora te ne uscivi ed andavi sulla spiaggia;anche lì era tutto un fermento. 
Il friccicorio del naso ti portava verso le barche tirate in secco dove, accanto ai pescatori che rammendavano le reti, c'erano quelli che le stavano sverniciando con il cannello.... la fiamma che bruciava la pittura vecchia svelando l'anima di legno della barca, lasciando riccioli di vernice molle che appestavano tutta l 'aria. 
Il cannello bisognava saperlo usare sennò bruciavi il legno sotto e il servizio nn veniva bene,eppoi bisognava scartavetrare....un processo lungo e faticoso. 
Guardavi ed intanto sentivi i discorsi dei grandi .." La barca nn l'ha ancora tirata a terra" "Mah chissà se regge un altro anno .. " "Domani dobbiamo dare una mano a Caio che 'a varca 'st ancora affunnat'""Sta ancora tutta 'mpurpat' d'acqua.. chissà si arriva 'a s'a assciuttà"". 
Anche quella era un'arte , affondare la barca, di proposito, affinchè il legno si gonfiasse al punto giusto, per poi farla asciugare per il tempo necessario ed in fine,ripittarla. 
Sbagliare uno solo di questi passaggi era compromettere la barca stessa e,cosa peggiore, incorrere nella disapprovazione degli altri pescatori . 
Tutti avevano qualcosa da fare o da ritoccare e tu volevi essere parte di quel lavorio, così ti offrivi per piccoli servizi, andare a prendere un altro barattolo di vernice, comprare la carta vetrata "chella fina fina",finchè veniva l'imbrunire e ti ritiravi, contento.
Se poi a casa ti aspettava un "paccarone" perchè eri sparito senza avvertire, pazienza.