lunedì 15 ottobre 2012

dualismi

Dire che noi "uagliuni" eravamo tutti uguali era vero solo se erano i grandi a guardarci. 
 Tra noi le differenze esistevano, eccome. 
 Erano piccole sottigliezze che agli occhi degli adulti avevano importanza alcuna e che invece , per noi, erano oggetto di discussione, litigio e qualche piccola invidia. 
Si correva, molto e forte, come solo a quell'età si può fare , e, come solo a quell'età, cadevi rovinosamente. Ti facevi male, certo, pure tanto ma, tranne che in casi rari, non era niente di così grave che una crema, un pò di disinfettante e qualche carezza non potessero curare. 
 Le ginocchie, i gomiti erano sempre sbucciati, non c'era tempo per guarire che cadevamo di nuovo, ancora e ancora. 
Ci divertivano a toglirci le "puzzichelle", ad infilare le unghie sotto le crosticine e toglierle piano con delicatezza e guardare quella pelle bianca, nuova che si intravedeva appena. " E nun t' scazzicà a puzzechell' ca te rummann' o marc'" " M' par' 'na cartina geografica, pe comm' stai cumbinat!", ma tu, incurante dei consigli caslinghi, continuavi, anzi speravi che ti rimanesse il segno.
 Quelle scorticature raccontavano storie di arrampiacate, di scivoloni e scivolate, cacce a palloni, salti mal calcolati.
 Erano il tuo biglietto da visita, il tuo lasciapassare, il preteso visibile per raccontare quello che era successo a te o chiedere agli altri cosa era accaduto loro "Questa me la sono fatta quella volta che sono caduto....." L'ennesimo capitobolo ti costringeva a tornare un attimo a casa , solitamente segiuto da uno o due amici, un pò per consolarti e un pò come testimoni di quello che doveva accadere di lì a poco. "Jà, famm' vere ch' t' si fatt'... ah.. cos' 'e nient'!" 
Lo stipetto del bagno si apriva e, accanto all'ovatta, vedevi la bottiglia; il contenuto, di quel rosa pallido pallido, veniva fuori con uno spruzzo deciso ed il suo odore già ti faceva piangere gli occhi. Ti contorcevi, la tua faccia era tutta una smorfia di dolore "E nun fa tutt' 'ste moss'!" ti dicevano e tu, rimando "Ma brucia.... " "E tu soffia!" e soffiavi su quella ferita che parevi un mantice . 
C'erano dei binomi imprescindibili: l'alcool stava al mercurio di cromo come l'acqua ossigenata stava alla tintura di iodio. Quando l'alcool era evaporato, solo allora, si tirava fuori la boccettina magica, quella che bisognava maneggiare con molta cura. Piccola, marrone, il tappo bianco e dal tappo, spuntava fuori quel piccolo cappuccetto di gomma morbida, rosso come il liquido che contenteva. 
Gli occhi guzzzavano dalla tua ferita, ai tuoi amici, alla boccettina....una, due, tre gocce al massimo se il taglio era grave. Congedati con un " Mò jat' a pazzià..." e di sottofondo " cu sta robb' m'ammacchia semp' e man'", tornavi a giocare, eri ancora un pò ammaccato ma fiero, e mostravi, come un generale, la tua medaglia. Quella macchia rossa, fosforescente, spiccava come un fuoco d'artificio, prova palese del tuo coraggio.
 I compagni ti accoglievano come se fossi un eroe, e quelli che erano venuti con te " Manco una parola ha detto!", loro che sì sapevano quanto poteva bruciare l'alccol; mormoravano fra loro " 
Gli hanno messo pure il mercurio cromo!" come a sottolineare che forse l'acciaccamento era stato più grave di quello che avevano creduto."Beat' 'a te..... a me mi mettono la tintura di iodio.... io glielo ho detto che mi piace più il mercurocromo (e lo diceva così, tutto insieme, perdendosi quella vocale che in mezzo, serviva a spezzare, a prendere fiato tra una parola e l'altra), ma dicono che macchia troppo.....". 
Tu capivi benissimo quello che in realtà il tuo amico ti voleva dire; con quella giustificazione ti stava dicendo che lui, non era un fifone, che avrebbe sopportato benissimo la prova dell'alcool, che non era colpa sua e che mentre la tua medaglia si sarebbe stinta con eleganza, lasciando un lieve color arancione come testimonianza, la tintura sarebbe sbiadita, virando dal suo colore ambrato, ad un giallogno indefinito. 
Mai gli avresti confessato che, beh, anche tu per una volta, avresti rinunciato volentieri a quella rosa scarlatta, che avresti preferito di gran lunga l'acqua ossigenata all'alcool ma la sola cosa che in quel momento ti veniva in testa era "Vabbò, allora vuol dire che la prossima volta che ti fai male, vieni a casa mia!".Intanto, tra una cosa e l'altra, si era fatta ora di merenda.

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