lunedì 8 ottobre 2012

uva e fichi

Settembre era il mese dove si cominciava a cambiare, seppur di poco, il ritmo delle giornate , a rallentare un pò , riprendere fiato. 
Il caldo ti dava un poco di pace, almeno di notte. 
 Il letto, che fino a pochi giorni prima, ti pareva una sudario dove ti giravi e rigiravi come un capitone nel barile, ora era fresco e avevi addirituttura un brivido quando ti ci infilavi dentro, ti veniva giusto quel poco poco di pelle d'oca che ti faceva tirare il lenzuolino sulle spalle, specie di prima mattina. Rinfrancato, ti alzavi e facevi colazione con il tazzone senza manico, il latte, piacevolmente tiepido, ti scendeva nella gola e ti scrollava di dosso gli ultimi scampoli di sonno. 
Ora, quando ti alzavi, il sole non era più così feroce, anzi sembrava quasi indeciso ,come se pure lui volesse godersi un altro pò la frescura della notte, stanco d'aver lavorato tutta l'estate. Era un mese freneticamente tranquillo, le cose da fare erano sì ancora tante,ma sembrava che si potessero fare tutte con calma, senza stanchezza perchè " 'Ngraziann' a Di', 'u calor' fort' è ammancat', a nott' s' arriposa" e il sonno era finalmente ristoratore, ti dava energie fresche.
 I fichi, messi a seccare fuori, erano quasi pronti per essere infilzati sugli spiedi "Nun te scurdà e c' mett' 'a fogli' 'e lauro frisc" che l'alloro una volta seccatosi, avrebbe regalato ai fichi quel lievissimo profumo, anticipo di mesi freddi ancora molto al di là da venire; " E gir' 'nu poco 'a cunserv'' casinò chill', 'u sal', s'ammasa tutt' a una part'" e se si rovinava quella delizia di pomodori prosciugati dal sole, il coniglio delle domeniche venture non sarebbe venuto saporoso.
 I compiti da portare a termine erano tanti, tante quante le cose che erano state lasciate in sospeso; i tempi di maturazione, di essiccazione dei vari frutti erano diversi, i fichi, i pomodori, le noci, eppure per una strana alchimia, seguendo un calendario secolare, quasi tutti si ritrovavano ad essere pronti nel mese di settembre, quasi che si fossero passati la voce, di fare presto, perchè c'era un avvenimento che di lì a poco avrebbe assorbito le energie e le forze di tutti e allora non ci sarebbe più stato tempo nè per cucire i "piennoli" di pomodoro, nè di setacciare la camomilla e tantomeno di mettere " l'areteca rind' 'e buccacc' ".
 La notizia veniva data dall'oggi al domani, che bisognava approfittare delle giornate di buon tempo. "Allora domenica si va a vendemmiare da...." "E allora c' ci amma purta'...." Le parole, dette ad mezza voce, come ripasso mentale, davano inzio a quelli che sembravano essere preparativi per un esodo di massa: i panni di ricambio, qualche asciugamano, l'insalata di patate, "U cunigl' no, chill 'u port a cummara..." e tante altre cose che ai tuoi occhi sembravano perfettamente inutili,ma che si dovevano portare "Pecchè ponn semp' servì". 
Quando tutto era pronto, ci si poteva finalmente muovere :i grandi divisi nelle varie macchine e tutti i ragazzi nel furgone, caricati a" cascione" insieme con tutto l'armamentario. Il tragitto sembrava un viaggio, la prospettiva "cascione" cambiava il modo di vedere le cose, sembrava una giostra al contrario. Ogni tanto ti arrivava la voce dei quello che guidava "Stateve quiet'" e doveve urlare forte assaje il poverino, per poter sovrastare il forte rumore del furgone, che era però niente in confronto alle nostre risate; ad ogni buca il furgone faceva un piccolo balzo e tu con lui, l'atterraggio, non certo dei più mordidi, scatenavascrosci di risa. Scendevi acciaccato, dolorante, ma non sapevi se era più la pancia che ti faceva male per le risate o il sedere per i rimbalzi, e subito venivi inghiottito dalle persone, tante. Eri un pò spaesato all'inizio, c'era la comare tale, il compare tal altro era tutto un "Fatti vedere quanto sei cresciuto..." " Comm pass 'u tiemp' ..." 
A fatica raggiungevi i tuoi coetanei che ti guardavano, loro che avevano già subito la trafila, e piano piano quella timididezza, quello scuorno, l'imbarazzo del "E mò?", passava presto. I compiti assegnati ai più giovani erano semplici, "porta la canesta piena, svacantala, e portal' a ret' ". 
 Se eri uno i quelli belli, bravi ed ubbidienti, allora potevi anche avere il privilegio di tagliare un grappolo d'uva dalla vigna, con le forbici con le lama corte corte, ma era cosa, quella, destinata a pochi. Perlopiù si scorrazzava per i filari, portando i cesti,dando un occhio a quelli più piccoli. La vigna era tutto un vociare, un chiamare da parte a parte, un cantare, chi a mezza voce, chi a gola spiegata, finchè arrivava il tempo del pranzo. Panche arrangiate con tavole di ponte appoggiate su mattoni abbracciavano una tavola strapiena di ogni bendidio, tintinnio di posate, di bicchieri; si parlava tutti insieme, le conversazioni si accavallavano finchè, lentamente si spegnevano ad una al punto che la tavolata tutta si zittiva per ascoltare un solo narratore. In silenzio, si veniva rapiti dalla storia e vedevi gli adulti ritornare indietro nel tempo, bere quelle parole proprio come facevi tu, quando erano loro a raccontarle a te . Se ti avvicinavi per chiedere qualcosa, venivi subito zittito con un "Statt' zitt' 'e famm' sentì.." 
 Finito il racconto si rimaneva ancora qualche istante in silenzio fino a quando la magia veniva spezzata da un.. "Mamma mia comm' se fatt' tard! C'amma movere si vulimm' furnì" e il ritmo riprendeva, ognuno ritornava al proprio compito. Il pomeriggio volava, oramai le giornate si erano accorciate, ma il grosso del lavoro era fatto. Un poco alla volta e pochi alla volta , si faceva ritorno a casa; ci si attardava nei saluti, nelle ultime raccomandazioni, nelle promesse di aiuto per gli anni futuri "Sì vò DDio"; 
 anche tu salutavi quei tuoi compagni che incontravi una volta sola all'anno, promettevi, anche tu, di venire l'anno prossimo . Una volta a casa, posate le borse con uno sbuffo, correvi a lavarti " Pecchè sti cumbintat' comm' 'nora 'e nott'!", ma neanche il sapone di marsiglia riusciva a togliere quel dolce profumo d'uva. Con la testa che ciondolava ora da una parte, ora dall'altra, ti sforzavi di rimanere sveglio, lottavi contro il sonno, avresti voluto sentire quello che si diceva della giornata trascorsa. Venivi liquidato con un "Vatt 'a cuccà, ca manc' allerta te mantien'! " allora ti infilavi nel letto, ti tiravi il lenzuolino sulle spalle, facevi un sospiro profondo e, tra gli odori di mosto, marsiglia, di fichi, prendevi il grappolino che ti eri portatoo, di nascosto, a casa, ti infilavi un acino in bocca e, con il gusto di quell'uva aspretta sulla punta della lingua, cedevi, sfinito, al sonno. 

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